Quando si parla di IA, ci si chiede quali saranno i suoi usi positivi e negativi. Si sente dire che occorre controllare e regolamentare questo strumento. Tuttavia, l’IA non è uno strumento, è una macchina. Questo cambia tutto, al punto che la domanda giusta da porsi non è cosa faremo con l’IA, ma cosa succederà all’uomo nell’era dell’IA.
All’inizio del XIX secolo, quando le prime macchine cominciarono a diffondersi, gli operai iniziarono a distruggerle. Fu la rivolta dei Luddisti. Non ce l’avevano con le macchine in sé, ma avevano capito che con le macchine sarebbero arrivate le fabbriche, quindi un lavoro dequalificato e frammentato, i padroni, la disoccupazione, l’esodo rurale, ecc. I luddisti avevano capito che le macchine non erano un semplice mezzo di produzione, ma che imponevano un mondo nuovo in cui i loro mestieri, le loro tradizioni, le loro comunità erano condannati.
A metà del XX secolo ebbe luogo la rivoluzione informatica. L’idea era quella di aumentare l’automazione: le macchine non sono più guidate dagli operai, ma dai computer. Una batteria antiaerea, ad esempio, non è più manovrata da un soldato, troppo lento e impreciso. La macchina diventa autonoma, un software calcola la posizione e la traiettoria del bersaglio, quindi comanda il fuoco.
La rivoluzione informatica corrisponde quindi a un duplice processo. Da un lato il calcolo, che riduce tutto a dati numerici, una digitalizzazione totale che oggi raggiunge il suo apice nei giganteschi data center. Dall’altro, cosa che troppo spesso si dimentica, l’informatica comanda, prescrive, governa. Negli anni ’50, se gli Stati Uniti non scatenarono la guerra nucleare richiesta da McArthur, fu perché un computer lo sconsigliò, ritenendola troppo costosa per l’economia americana. Allo stesso modo, nei magazzini, nelle fabbriche, nelle aziende, nelle applicazioni e nei software, il computer invia segnali ai quali bisogna reagire e adattarsi. L’informatica è il programma, ovvero il codice che digitalizza e l’algoritmo che agisce; l’informatica è stata concepita fin dall’inizio come cibernetica, che in greco significa comando, pilotaggio. Si comprende quindi l’essenziale affinità tra l’informatica e il capitale, che anch’esso riduce tutto a cifre (i prezzi) e governa tutto a partire da queste cifre (i mercati).
Il mondo virtuale comanda il mondo reale
L’informatica con Internet raddoppia il mondo reale con un mondo digitale, questo mondo virtuale informa, comanda, organizza il mondo reale. La rete sottomette il reale. Lo constatiamo ogni giorno: ciò che non appare su uno schermo non esiste davvero, e tutte le ragazzine vogliono diventare come le star dei social network. Lo smartphone non è altro che l’interruttore che permette di lasciare il mondo reale per immergersi in quello virtuale.
La rivoluzione informatica ha profondamente ridefinito il mondo. Ha rivoluzionato la cultura e il lavoro; ha reso possibile il telelavoro, quindi la globalizzazione e tutte le sue conseguenze, non ultima l’immigrazione; ha portato alla nascita dell’amministrazione digitale che conferisce agli Stati un controllo totale; ha modificato i nostri rapporti familiari e di amicizia con i social network; ha modellato il nostro rapporto con la verità, predefinita dagli algoritmi di Google o Instagram; ha moltiplicato la potenza delle macchine che ora devastano la terra. Non c’è nulla di umano che non sia stato rivoluzionato e guidato dai software, nemmeno il più intimo: un terzo delle coppie si è formato grazie ai software dei siti di incontri e un terzo del web è costituito da porno.
Il punto essenziale è questo: l’informatica è cibernetica, agisce sulle nostre esistenze e guida il nostro mondo. L’informatica non è quindi un mezzo o uno strumento da usare a proprio piacimento, ma piuttosto un fenomeno sociale totale che si sta sviluppando da mezzo secolo e nel quale siamo coinvolti. Analizzare la tecnica, le macchine o l’informatica in termini di strumenti, mezzi o usi da regolamentare è tanto comune quanto vano.
Quale nuovo mondo per quale nuovo uomo?
L’IA è digitale, quindi non è uno strumento né un mezzo. La questione non è quindi cosa farne, ma capire quale nuovo mondo e quale nuovo uomo creerà. Come rispondere a questa domanda? Certamente non basandosi sulla fantascienza. L’IA non cade dal cielo, non è una rivoluzione poiché è solo l’ultima faccia dell’informatica, che a sua volta era il prolungamento dell’automazione e della meccanizzazione della rivoluzione industriale. Per sapere cosa farà di noi l’IA, è nella realtà concreta di questa reale filiazione che bisogna ancorare la propria riflessione, non nelle finzioni.
L’IA è progettata per svolgere compiti al posto degli esseri umani, come il software nella batteria antiaerea, come la macchina nella fabbrica dei luddisti. Come tutte le macchine, ha quindi lo scopo di sostituire tutti gli esseri umani che possono essere sostituiti. La disoccupazione di massa non è un danno collaterale dell’IA, è il suo obiettivo. I colletti bianchi saranno sostituiti dalle macchine come gli agricoltori sono stati sostituiti dai trattori e gli impiegati dagli sportelli automatici. Le nostre economie terziarie saranno devastate dall’IA, cosa che è già iniziata per giornalisti, programmatori e grafici.
Questa distruzione non creerà altri posti di lavoro, poiché l’IA è progettata per sostituire tutte le attività cognitive, comprese quelle creative. Meglio essere idraulici o elettricisti. La completa riconfigurazione del mercato del lavoro provocherà una completa riconfigurazione della pubblica istruzione, confermando che l’IA non è affatto uno strumento da utilizzare, ma al contrario costringe l’uomo ad adattarsi, a diventare un ingranaggio ben integrato nel mondo delle macchine.
L’assunzione da parte dell’IA dei compiti cognitivi e creativi non porterà solo alla disoccupazione di massa, ma anche all’ottundimento delle capacità intellettive. Lo sappiamo da tempo: con le calcolatrici non sappiamo più fare i calcoli a mente, con il GPS non sappiamo più orientarci, con le tastiere non sappiamo più scrivere in modo leggibile a mano, con ChatGPT gli studenti non sanno più scrivere un tema: ogni progresso tecnologico è un regresso per l’uomo.
L’uomo dell’IA non avrà più bisogno di pensare, riflettere, cercare: gli basterà chiedere all’IA. Quindi non penserà più con la propria testa, ma ripeterà ciò che gli avrà detto l’IA. Rapidamente, inevitabilmente, non sarà più in grado di pensare con la propria testa, così come non è più in grado di sognare con la propria testa da quando sono gli schermi a immaginare per lui. L’uomo dell’IA trasferisce le sue capacità intellettuali alle macchine come ha già trasferito le sue capacità manuali; questa spoliazione e questo trasferimento alla macchina, l’altro dell’uomo (in latino aliud), è un’alienazione; l’alienazione e la cibernetica sono i concetti essenziali per pensare l’IA.
Quello che l’IA farà di noi è quindi prevedibile, perché non è uno strumento che si usa a proprio piacimento, perché non è una rivoluzione ma il compimento della rivoluzione industriale. È il dramma del progresso, che non porta nulla di nuovo, solo il peggio. L’IA renderà l’uomo un disoccupato e un idiota, una scimmia assistita dal computer, un pappagallo con il reddito di solidarietà attiva che ripete la voce del suo padrone, padrone che è un software posseduto e programmato da una multinazionale avida.
I luddisti avevano ragione. Poiché oggi è improbabile che qualcuno osi sabotare l’IA, dovremmo almeno evitare di usarla. Questo non impedirà il suo dominio, ma eviterà di acconsentire e collaborare.
Nicolas Degroote
Revue Èlèments, Nicolas Degroote, Qu’est-ce que l’IA va faire de nous ?, 29/10/2025.
Traduzione a cura di Piero della Roccella Sorelli.
Informazioni per richiedere la Rivista Èlèments: www.revue-elements.com

