
Parlando di vita associata intendiamo il nomos come ordinamento e localizzazione, come “prima misurazione da cui derivano tutti gli altri criteri di misura; la prima occupazione di terra, con relativa divisione e ripartizione dello spazio; la suddivisione originaria.” (Carl Schmitt, Il nomos della terra). Schmitt intende il nomos come un atto originario costitutivo e ordinativo in senso spaziale rappresentato dall’occupazione della terra, tutto ciò che viene dopo sono o effetti e integrazioni oppure nuove ripartizioni.
Nomos è un sostantivo di origine greca che deriva dal verbo nemein. Allo stesso modo di logos (lingua) che è il nomen actionis del verbo legein (parlare), nomos è il nomen actionis di nemein e designa un processo, un’azione il cui contenuto è dato dal verbo. Nel volume Le categorie del ‘politico’ Schmitt suggerisce tre significati del verbo nemein: il primo è prendere/conquistare, da cui deriva la traduzione di nomos in appropriazione. Il secondo significato di nemein è spartire/dividere, quindi il nomos, in questo caso, designa la “prima, fondamentale procedura di divisione e di distribuzione. [È] diritto nel senso della parte che ciascuno ha, il suum cuique. In termini astratti: nomos è il diritto e la proprietà, cioè la parte di ciascuno ai beni della vita.” In terzo luogo nemein significa coltivare, produrre, utilizzare.
“Il nomos è pertanto la forma immediata nella quale si rende visibile l’ordinamento politico e sociale di un popolo, la prima misurazione e divisione del pascolo, vale a dire l’occupazione di terra e l’ordinamento concreto che in essa è contenuto e da essa deriva. […] Nomos è la misura che distribuisce il terreno e il suolo della terra collocandolo in un determinato ordinamento. […] Misura, ordinamento e forma costituiscono qui una concreta unità spaziale.” (Carl Schmitt, Il nomos della terra).

La colonizzazione di una terra (così come la decolonizzazione) segue questi dettami: prendere/dividere/produrre. Tutte le servitù in Sardegna seguono tale ordine di successione, marginalizzando (o escludendo completamente) la volontà del popolo sardo: la sovranità popolare (che è sovranità democratica) cede il passo a una concezione di sovranità di tipo liberale, “nella quale lo Stato è sottomesso al diritto e dove la decisione procede esclusivamente dalla discussione, mentre la vita pubblica è nettamente separata da una “sfera privata” largamente depoliticizzata. Schmitt mostra che questa concezione è antidemocratica perché tende a scoraggiare la partecipazione della maggioranza alla vita pubblica e perché ricusa in anticipo ogni scelta democratica che andasse contro norme giuridiche e costituzionali del momento” (Alain de Benoist, Le sfide della postmodernità).
Essere sovrani significa decidere in una situazione di eccezione che tali norme e procedure non risolvono. Alla sovranità di Jean Bodin (1520-1596) preferiamo quella di Althusius (1557-1638). “Mentre la sovranità bodiniana è al contempo una piramide e una circonferenza la cui superficie è ordinata verso il centro, la sovranità di Althusius è di tipo labirintico: […] essa implica la pluralità, l’autonomia, l’intreccio dei livelli di potere e di autorità. […] Il principio di sussidiarietà esige che le decisioni siano sempre prese al livello più basso possibile da coloro che ne subiscono più direttamente le conseguenze. Esso dunque implica che le più piccole unità politiche detengano competenze autonome sostanziali e che siano al contempo rappresentate collettivamente ai livelli più alti di potere” (Alain de Benoist, Le sfide della postmodernità).
Il livello locale delega ai livelli più alti responsabilità e competenze di cui non si può occupare; è il contrario della decentralizzazione, nella quale il potere locale è titolare dell’autorità che il potere centrale gli concede.

La lettera di Ivan Monni, ad un anno dall’occupazione del cantiere Terna in agro di Selargius e in piena lotta contro la speculazione energetica in Sardegna, ha il merito di guardare al di là delle divisioni della società sarda (in generale) e del fronte indipendentista (in particolare) – divisioni e frammentazioni spesso strumentali e mosse da logiche elettorali.
“I concetti di amico e nemico devono essere presi nel loro significato concreto, esistenziale, non come metafore o simboli; essi non devono essere mescolati e affievoliti da concezioni economiche, morali o di altro tipo, e meno che mai vanno intesi in senso individualistico-privato, come espressione psicologica di sentimenti e tendenze private. (Carl Schmitt, Le categorie del ‘politico’). Un popolo non può condurre una guerra contro se stesso. “I popoli, continua Schmitt, si raggruppano in base alla contrapposizione di amico e nemico e […] quest’ultima ancora oggi sussiste realmente come possibilità concreta per ogni popolo dotato di esistenza politica.” Il popolo sardo esiste politicamente anche in assenza di uno Stato sardo che ne decreti per legge la sua forma.
Ecco le fondamenta della nostra autodeterminazione politica – individuale e collettiva. Lì risiede la nostra libertà. Il popolo sardo esiste, ma non è sovrano in terra sarda! Sussistono, tuttavia, svariarti modi di esercitare sovranità, di partecipare politicamente al destino di una collettività. L’esercizio della sovranità può esprimersi anche contro una norma vigente: l’occupazione di una terra è esercizio di sovranità, così come il sabotaggio di un mezzo di produzione. Il nemico ha nomi, simboli, confini. Il nemico principale in terra sarda è lo Stato italiano.
L’uomo è un essere sociale e le socialità (ad esso riconducibili) si esprimono in un luogo e in un dato tempo condizionando e indirizzando la società. La società sarda, attraverso il mare naturalmente separata da tutto il resto, si compone di innumerevoli socialità che si esprimono utilizzando le lingue del luogo (sardo, sassarese, gallurese, catalano, tabarchino) e altre lingue alla bisogna (italiano e inglese su tutte). La socialità in Sardegna ascolta e subisce la narrazione italiana sovrapponendo ad essa una narrazione orale nelle varianti linguistiche del luogo.

Assistiamo quindi ad uno sdoppiamento o a una società che risponde ogni giorno a due codici: quello sardo e quello straniero. Le socialità non rappresentate nel parlamento sardo sono maggioranza numerica rispetto agli eletti (tutti). La Sardegna vive un deficit di democrazia territoriale governato dal sistema-Italia attraverso partiti, movimenti, associazioni: una minoranza politica ignora la volontà popolare, disturba la partecipazione, non permette la democrazia in terra sarda.
Il parlamento sardo rappresenta una minoranza di cittadini, la maggioranza sono i non rappresentati: gli astenuti e le coalizioni che alle ultime elezioni non hanno raggiunto il 10%: circa il 57% dell’intera popolazione sarda! La sovranità popolare ci è impedita per legge (elettorale). Siamo governati da una minoranza organizzata (destra/sinistra) che impone la sua legge ad una maggioranza disorganizzata. In Sardegna ci accontentiamo di essere governati – che sia sardo o italiano poco importa – perché sussistono delle forma di autogoverno autoctono che si confrontano/scontrano quotidianamente con la norma italiana (o extraitaliana), che la detestano e la cavalcano, che la usano e la combattono. Quanto accade in Sardegna rimane in Sardegna, nasce e muore qui – oppure si perde nel vasto mare nostro supremo confine di terra.
Julien Freund ha detto che morale e politica non hanno affatto lo stesso scopo. La prima risponde a un’esigenza interiore e riguarda la rettitudine degli atti personali secondo le norme del dovere, in cui ciascuno si assume la piena responsabilità della propria condotta. La politica, al contrario, risponde a una necessità della vita sociale e chi imbocca questa via intende partecipare all’assunzione del destino di una collettività.
L’esistenza individualizzata, funzionale al liberalismo, esige un cambio di paradigma, una rivoluzione delle coscienze. Il bene comune non si realizza con le leggi del mercato, il grado di soddisfazione di una comunità non si misura in termini di produzione, né di profitto. È il ‘politico’ che governa l’ordine economico-sociale, morale, scientifico, lì risiede la sua autonomia rispetto a tutto il resto. Vivere la Sardegna con tutti i sensi, vederla con i propri occhi e non attraverso lo schermo di un dispositivo. Creare dei momenti di dialogo, di confronto pubblico con tutti i sardi che credono nella lotta di liberazione – al di là dei partiti e delle loro scadenze elettorali. Ogni giorno si è partecipi di un destino comune, ogni giorno si costruisce coscienza politica, ogni giorno combattiamo per l’indipendenza!
Simone Olla
