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Il paradigma pandemico: come cambia il diritto al tempo del coronavirus

Il Covid-19 rimette in discussione non soltanto l’amministrazione della giustizia ma l’essenza stessa del rapporto tra individuo e società. Ne parliamo lunedì 15 febbraio nell’incontro online del GRECE Italia 

In quanti modi la pandemia sta cambiando il mondo del diritto? Ѐ il tema del prossimo incontro del GRECE Italia in programma lunedì 15 febbraio alle ore 21, in diretta sulla pagina Facebook dell’associazione. Nel convegno “Il paradigma pandemico: diritto, giusliberismo e decisione politica nello stato d’eccezione” interverranno la professoressa Ginevra Cerrina Feroni (ordinario di Diritto Pubblico Comparato all’università di Firenze) e il dottor Massimiliano Siddi (sostituto procuratore presso il tribunale di Viterbo), introdotti e moderati dall’avvocato Lorenzo Borrè.

Ad essere messa alla prova in questi mesi non è la sola amministrazione della giustizia -stremata dall’accumulo di rinvii durante il periodo del confinamento e dalla difficoltà a far convivere il ricorso a nuovi strumenti tecnologici (tutt’altro che “neutrali” nella loro essenza, come già ammoniva Heidegger) con il rispetto delle garanzie processuali- ma anche il rapporto dei diritti costituzionali a gerarchia variabile. 

C’è infatti  nell’essenza stessa del diritto un movimento tellurico che l’insorgere del “paradigma pandemico” sta favorendo: veniamo da un trentennio in cui  la giurisprudenza si è caratterizzata per un approccio giusliberista che ha progressivamente occupato settori propri della decisione politica, nell’incapacità di quest’ultima di porsi come risolutiva nelle questioni assiologiche  che riguardano l’ethos della comunità nazionale. Di qui l’elaborazione  e il conseguente riconoscimento di una serie di “nuovi diritti” (si pensi al “diritto all’eutanasia” o al “diritto all’omogenitorialità”, per citare i due più di attualità) che al contrario dei vecchi diritti politici e sociali, emersi come risultato di secolari mobilitazioni collettive, si affermano nel mero rapporto dialogico tra l’individuo rivendicante e il Giudice che, in assenza del Politico, conia la norma positiva.

Questa impostazione è ad oggi ancora “vincente”, ma la comparsa dell’era pandemica sembra aver invertito le polarità della visione del rapporto tra individuo e società: il richiamo alla necessità di salvaguardia di beni e/o interessi collettivi, di tutela della polis  come entità sovraordinata ai diritti dei singoli (addirittura a quelli politici e fondamentali: libertà di circolazione, di riunione, di iniziativa economica, di istruzione), rende recessivi quest’ultimi rispetto alla tutela del bene comune “salute pubblica”.

Questa inversione virtuosa è però inquinata da una prassi che, almeno in Italia, ha penalizzato la sovranità del Parlamento, rischiando di innescare un processo di deriva della decisione politica in nome di quello che Alain de Benoist ha stigmatizzato come “un igienismo dogmatico che si traduce in una sorveglianza sempre più grande sugli stili di vita”. Come tenere insieme l’esercizio dei diritti costituzionali con il ruolo di supplenza affidato sempre più spesso a comitati tecnici e authorities? E come rimettere in discussione l’edonismo cognitivo che ha connotato negli ultimi decenni l’evoluzione del diritto senza perciò riproporre una versione “high tech” dello Stato di polizia ottocentesco, dove una corte di esperti e un sovrano illuminato dettano le linee dell’esistenza fin nei più minimi particolari? 

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