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Critica letteraria. Le magnifiche sorti e progressive di Curcio affondano come il Titanic

Magnifiche sorti e progressive1 è un documentario del 2020 realizzato da TodoModo, un collettivo formato da Claudio Di Mambro, Luca Mandrile e Umberto Migliaccio. Il protagonista di tale documentario è Renato Curcio che elabora un’analisi in parallelo tra le carceri panottiche e le reti virtuali, come Internet e i social media. La pellicola, con uso ricorrente del Super 8, è girata presso l’Ergastolo di Santo Stefano, carcere costruito a fine ‘800 e oggi abbandonato, costruito sull’isola omonima di Santo Stefano, nel comune di Ventotene. La scelta del luogo è particolarmente evocativa sia per la ventennale esperienza di Curcio all’interno di carceri speciali, sia perché si tratta della prima struttura mondiale a mettere in pratica, anche se non del tutto, i principi del Panopticon di Jeremy Bentham2. Progettata nel 1791, questa struttura carceraria prevedeva un edificio semicircolare con al centro un posto di osservazione per le guardie, che permettesse loro di osservare costantemente i prigionieri, in ogni loro attività, senza che questi ultimi potessero vedere il loro controllore. Lo scopo di tale sistema è spingere i detenuti a modificare completamente la propria personalità, se non per convinzione, quanto meno per la paura di essere sempre sottoposti a un invisibile controllo sempre pronto a comminare sanzioni per motivi disciplinari. A lungo andare, questa routinaria abitudine alle norme imposte, porta a introiettarle e quindi a far sì che il carcerato si “trasformi” nell’individuo voluto dal sistema. Come si diceva, la struttura di Santo Stefano è solo parzialmente panottica, in quanto già dal nome (Ergastolo), lo scopo “rieducativo” era assente, tanto che le sue celle di distruzione, più che di punizione, portavano spesso alla morte del carcerato più che al suo rientro in società.

Dalla visita e dall’analisi di questa struttura carceraria, Curcio parte con un ragionamento molto articolato su come la stessa rete sia una struttura carceraria panottica al servizio del capitale. Il primo spunto nasce dalla definizione della rete come una struttura totale a tutti gli effetti accomunata a quelle del ‘900: carcere, ospedali psichiatrici, caserme, ecc. Di cosa si tratta? La definizione di struttura totale deriva dal lavoro del sociologo statunitense Erving Goffman che nel suo Asylums3, le definisce come quelle in cui l’intera vita del singolo che vi si trova all’interno è controllata, scandita e in sostanza “modulata” dalla struttura stessa. Il suo funzionamento mira alla spersonalizzazione dell’individuo, ridotto a un mero numero, attraverso un’organizzazione burocratica che ne manipola i bisogni. Come dice Curcio, tale funzione di manipolazione della rete resta nascosta agli utenti che non afferrano immediatamente quanto essa sia un sovra-continente rispetto a quello geografico concreto, ma all’interno del quale le logiche di potere, vigilanza e sfruttamento sono identiche a quelle delle strutture reali. La rete è diventata lo spazio in cui miliardi di persone nel mondo passano la maggior parte del loro periodo di veglia della giornata, ritrovandosi in un “continente” delle illusioni, dove pensano di essere liberi e di adottare comportamenti da essi stessi scelti, ma che in realtà sono predetti e manipolati grazie appunto a una struttura panottica totale. Così come nel Panopticon, ogni nostra attività in rete è costantemente e minuziosamente sorvegliata, tracciata e conservata in enormi banche dati. A cosa serve tutto ciò? A una gigantesca profilazione di massa che serve a individuare i nostri gusti e a predire con un’altissima dose di probabilità i nostri comportamenti futuri. Ciò permette a chi gestisce la rete, le grandi aziende multinazionali, di sorvegliarci, di punirci (esempio classico la cancellazione di contenuti non conformi alle regole della rete stessa) e, proprio secondo lo schema panottico, alla lunga di modellare i nostri comportamenti. In sostanza, il meccanismo di isolamento tra un carcere panottico e l’accesso alla rete è identico e consiste appunto nell’isolare l’individuo controllando le sue azioni costantemente senza però essere visti e in questo modo plasmandolo alle esigenze della istituzione totale stessa. Se, infatti, in carcere si viene isolati in una cella per distruggere ogni contatto col prossimo; nella rete c’è, da parte dell’istituzione, la volontà di trattenere l’utente il più possibile all’interno di essa, isolandosi dal resto del mondo reale, facendogli svolgere sempre più attività, che prima si potevano eseguire nel continente reale, in modo da aumentare il controllo e l’attività di profilazione grazie a una sempre crescente raccolta dati. Se in una istituzione totale concreta tale isolamento è palesemente riscontrabile dal detenuto, in quanto fisico e imposto, nella rete esso è altrettanto efficace, ma più subdolo e meno evidente all’utente, in quanto virtuale e apparentemente volontario. Quello di cui la maggior parte delle persone che passano gran parte del loro tempo in rete non si rende conto è che tale isolamento passa dall’abbandono delle relazioni reali tra persone fisiche, in luoghi fisici, per passare a connessioni virtuali, attraverso le quali non si parla realmente con nessuno, si creano rapporti illusori, realizzando de facto un isolamento totale appunto.

Curcio sottolinea come ciò non riguarda solo i social media e l’apparato di sorveglianza/modellaggio degli individui, ma coinvolge il mondo del lavoro (ormai tempi, mansioni e direzione del lavoro sono sempre più in mano agli algoritmi e meno alle persone, come Amazon insegna) e determina la nuova forma di distribuzione della ricchezza all’interno delle società. Seguendo l’impostazione marxista, Curcio individua nell’accumulazione dei mezzi di produzione, di contro al loro mero utilizzo che genera alienazione, la condizione di arricchimento di una “classe” rispetto all’altra. Se fino al ‘900 del secolo scorso i mezzi di produzione erano “concreti”, legati al mondo della produzione e del lavoro, attualmente essi sono rappresentati dalle megamacchine capaci di accumulare e registrare l’enorme mole di dati ottenuti grazie alla rete e al suo sistema panottico. Tale meccanismo genera una sempre più larga forbice tra pochissimi multi-miliardari padroni delle aziende che gestiscono la rete (Google, Amazon, Facebook, ecc.) e miliardi di utenti sempre più pover, isolati e alienati, intrappolati nella struttura panottica di rete.

Cosa propone Curcio come lotta per modificare questa situazione? Ecco che la lucidità e l’originalità analitica che lo hanno accompagnato fino a questo punto del discorso svaniscono. L’autore ricorda come durante la sua gioventù, gli ambiti politici in cui militava proponevano soluzioni “alla sovietica”, “alla cinese” o “alla cubana”; mentre, oggi, non è più possibile rifarsi a situazioni del passato, perché non ci si è mai mossi in un sovra continente virtuale costituito da una gigantesca prigione panottica. Insomma, il mondo in cui ci troviamo oggi non è mai esistito prima. Allora, diventa necessario fare qualcosa che non sia mai stato fatto prima, e in cosa ciò viene individuato dall’autore? Un generico e indefinito “quello che riusciremo a fare man mano tutti insieme”. Bella e originale l’analisi ma che si rivela sterile nel concreto, in quanto priva della seppur abbozzata via da intraprendere come soluzione. Non è infatti sufficiente dire che “il possibile è infinitamente più grande del probabile” e che “le relazioni sono decisamente più importanti delle connessioni” perché possa cambiare qualcosa. Bisogna infatti porre in discussione, e abbandonare, le ideologie che hanno sostenuto la società liquida, per dirla con Baumann, in cui viviamo. Quel discorso culturale che si è fatto portatore di una società composta da individui singoli, slegati da ogni radice storico-culturale, sempre più isolati e privati della loro umanità in quanto ridotti a meri consumatori secondo lo slogan “lavora, consuma, crepa”. E’ a una rivoluzione antropologica che c’è bisogno, alla “fondazione” di un Uomo nuovo, svincolato tanto dalla Forma-Capitale che da concezioni novecentesche che facevano del suo annichilimento nella massa o della moltitudine le premesse del “paradiso socialista in Terra”. Un Uomo che riscopra le proprie radici e quelle della sua Comunità, per dirla con Tonnies o Durkheim, vivendo in armonia con la propria Tradizione e con la Natura che lo circonda. Perché «come scrive Jean-Claude Michéa, “l’idea di una società decente, o socialista, non può riporsi sul progetto di un’“altra” economia o di un’“altra globalizzazione”, progetti che non possono che condurre, in fin dei conti, ad un altro capitalismo […] Essa è riposta, al contrario, su un diverso rapporto degli uomini nei confronti dell’economia stessa”. Dunque non si tratta soltanto di correggere le “ingiustizie” di un sistema, o rimanere ad un approccio strutturale dei giochi. Si tratta di finirla con la dittatura dell’economia, il feticismo del mercato ed il primato dei valori mercantili. Si tratta di decolonizzare l’immaginario. Di adoperarsi per l’avvento di un altro mondo, che non sia soltanto al di là delle cose, una visione trascendente o utopica, ma un nuovo mondo comune»4.

Note

1.Il titolo del documentario è tatto dalla poesia La ginestra di Giacomo Leopardi: “Dipinte in queste rive/son dell’umana gente/ le magnifiche sorti e progressive”.

2. Per approfondimenti: Bentham J., Panopticon ovvero la casa d’ispezione, Marsilio, 2002.

3. Per approfondimenti: Goffman E., Asylums, Einaudi, 2010

4. https://francescomarottablog.com/2019/02/12/che-cose-laltro-mondo-ce-lo-spiega-alain-de-benoist/

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