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Metapolitica

Giusliberismo, Politica, Costituzione

La pandemia sta sempre più chiaramente manifestandosi come evento globale a pluralità di effetti; effetti che nella loro molteplicità appaiono ormai stratificati e intimamente connessi, tanto da fornire in potenza un nuovo paradigma nell’organizzazione sociale planetaria.

In questo scenario è comunque interessante notare , allo stato larvale, inversioni di tendenza che se opportunatamente coltivate nella sfera metapolitica, potrebbero costituire un’occasione per il ritorno del Politico e delle sua funzione essenziale di formazione e sintesi di un’etica pubblica condivisa, fondata su istanze che abbiano come orizzonte il bene comune anzichè i molteplici, sempre nuovi “diritti” o il retoricamente stucchevole “diritto di avere diritti”.

E vengo al punto: il panico da Covid 19 sembra aver invertito le polarità di quell’impianto assiomatico che ha contraddistinto sia la visione sociale che le decisioni giurisprudenziali dell’ultimo trentennio, caratterizzate da un approccio giusliberista che ha progressivamente occupato settori propri della decisione politica, nell’incapacità di quest’ultima di porsi come risolutiva nelle questioni che riguardano l’ethos della comunità nazionale.

Una tale giurisprudenza -assiologicamente fondata sulla prevalenza delle istanze dell’edonismo cognitivo e sulla ritenuta razionale oggettività delle prerogative di una libertà individuale slegata dal rapporto con il bene comune e, aristotelicamente parlando, da ogni relazione sociale di vita buona- ha infatti rielaborato la concezione dei diritti dell’individuo, e segnatamente quelli definiti di quarta generazione, sposando un’epistemologia fondata sulla destrutturazione della persona, che viene concepita come individuo neutro, ma desiderante, liberato da tutte le fonti di produzione di senso culturali o, per dirla con Friedrich Engels, “liberato da ogni realtà, da ogni condizione nazionale, economica, politica, religiosa esistente sulla terra, e da ogni caratteristica sessuale e personale, che […] non resta altro che il semplice concetto di [individuo]”, in poche parole: una monade della società del Mercato, in grado però di autodefinirsi e di determinarsi da sè contro le pretese dello Stato o meglio: in grado di far prevalere i propri interessi su quelli collettivi: la caratteristica dei “nuovi diritti” è l’assenza di ogni forma di mediazione da parte del potere politico-sociale. Se i diritti politici e quelli sociali sono il risultato di una conquista ottenuta , rispettivamente, dalla lotta popolare e dalle mobilitazioni del movimento operaio, che portavano avanti istanze in alcuni casi diventate compromesso, in tale contesto, come osservava Pietro Barcellona, “i diritti erano strettamente interrelati ad un rapporto sociale dinamico che dava vita ad un sistema di relazioni industriali triangolare (sindacato, governo e imprese), che a sua volta, dava vita a forme di autonomia collettiva”, la strategia dei nuovi diritti si sostituisce invece all’intermediazione sociale, e al suo parametro di riferimento, il Bene comune, oscurandolo o comunque facendolo regredire all’irrilevanza: il diritto (si pensi al “diritto all’eutanasia” o al “diritto all’omogenitorialità”, per citare i due più di attualità) si afferma nel rapporto dialogico tra l’individuo rivendicante e il Giudice che, in assenza del Politico (e quindi di un costituzionalismo fondato sulla decisione politica di sintesi condivisa), pone il nomos della fattispecie, facendosi egli stesso legislatore.

Questa impostazione è ad oggi ancora “vincente”, ma la comparsa dell’era pandemica sembra aver invertito le polarità della visione del rapporto tra individuo e società: il richiamo alla necessità di salvaguardia di beni e/o interessi collettivi, di tutela della polis riguardata come entità sovraordinata ai diritti dei singoli (addirittura a quelli politici e fondamentali: libertà di circolazione, di riunione, di inizativa economica, di istruzione), rende recessivi quest’ultimi rispetto alla tutela del bene Salute.

Di conserva anche la dimensione globale, transnazionale che sovrastava, annichilendoli, i residui poteri della sovranità degli Stati, sembra invece rinculare a favore della decisione politica nazionale, con un ritorno della prevalenza del principio di salvaguardia dell’interesse della nazione in opposizione al paradigma progressivo della filosofia no borders del Mercato globalista e delle sue articolazioni antidemocratiche.

Questa inversione virtuosa è però inquinata da una prassi che, almeno in Italia, ad avviso di chi scrive, ha penalizzato gravemente, troppo gravemente, la sovranità del Parlamento, rischiando di innescare un processo di deriva della decisione politica, che -nell’ultimo anno più che mai- si sta attuando in assenza di un popolo sovrano (altro che populismo!), connotandosi in un dirigismo da Stato di polizia ottocentesco, dove un sovrano illuminato, coadiuvato da una Corte di esperti, detta le linee dell’esistenza fin nei più minimi particolari e dove, come osserva Alain de Benoist, in nome di “un igienismo dogmatico che si traduce in una sorveglianza sempre più grande sugli stili di vita” vengono prescritte socialmente “delle condotte normalizzate, cercando così di addomesticare tutti i modi d’essere che si sottraggono agli imperativi della sorveglianza, della trasparenza e della razionalità “ .

Per indirizzare virtuosamente il richiamo al bene comune è invece necessario procedere al recupero di una narrazione costituzionale fondata sulla sovranità popolare, cioè sulla partecipazione alle decisioni, alla socializzazione controllata attraverso l’autogoverno, in buona sintesi: su quei diritti costituzionali fondati sull’essere insieme.

Oggi siamo dunque davanti ad un nuovo bivio della storia dell’organizzzazione umana: cedere definitivamente alla svolta della globalizzazione, di una società cosmopolita caratterizzata dalla sostituzione dei diritti costituzionali del popolo e delle dinamiche decisionali dei suoi corpi intermedi con una moltitudine di diritti riferibili a singoli individui in quanto tali, in cui la decisione spetta a istituzioni di garanzia come i giudici o a istituzioni di copertura come i comitati tecnici o le authorities, o riprendere la narrazione comunitarista fondata sull’idea di polis e attuata con le categorie e gli strumenti del Politico.

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