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Lo stato dell’arte in Europa

Questo è il primo scritto di Dalmazio Frau per il G.R.E.C.E. Italia, una disamina complessiva sullo stato di salute dell’arte. La sua è un’opinione importante che dev’essere presa seriamente in considerazione, il dibattito è aperto per chiunque voglia coglierlo e farlo suo! 

L’Europa è il luogo ove nasce la Bellezza. Il Bello no, essendo esso un valore assoluto è un Principio primo e come tale sta sopra d’ogni differenziazione umana, ma la Bellezza, ovvero la sua manifestazione nel nostro stato dell’essere, si trova prima di tutto in Europa e che sia la nascita di Afrodite per i Greci o il dio Aengus per i Celti, il vecchio continente è la culla dell’Arte.

Dopo l’Età Classica, il Medio Evo e poi nel Rinascimento, attraverso il Barocco e fino ai primi del Novecento, soprattutto l’Italia fu la patria dell’Arte, della Bellezza e dell’insegnamento delle Belle Arti. Era in Italia che i colti stranieri venivano a compiere il Gran Tour e a impratichirsi nel genio che produceva i figli spirituali di Masaccio e del Pontormo, di Duccio di Buoninsegna e del Tintoretto, di Benvenuto Cellini e di Caravaggio. L’Italia diede all’Europa il sogno dei Nazareni prima e l’utopia Preraffaellita inglese dopo; il nostro paese istruì Albrecht Dürer e i pittori fiamminghi del Quattrocento in un mutuo e ricco scambio.

Allora l’Europa era una realtà attiva e operante anche sotto le insegne dell’Arte e dell’Estetica, perché la Bellezza e l’Arte, come specchi dell’Assoluto, ci hanno resi liberi per oltre mille anni e l’Europa così ha garantito la Bellezza per secoli, senza barriere, mentre l’Arte ne ha consentito benessere e libertà. Oggi invece le Accademie sono troppo spesso rese luoghi dove ormai non si insegna quasi più l’Arte alla” maniera degli antichi”. Dove troppo spesso, con la connivenza di governi a dire poco distratti, ci si dedica alla distruzione sistematica di quei pochi allievi graziati con il dono del Talento, ritenuto orrido retaggio di età passate, superate e sepolte.

Lo stesso valga per la scuola superiore: Licei Scientifici dove il corso di educazione artistica è dato sovente in mano ad architetti incapaci di applicare una tecnica pittorica o anche di disegnare senza ormai essere aiutati da un computer. Il Brunelleschi e il Sangallo gente simile li avrebbero fatti bastonare dalle loro maestranze. Gli Istituti d’Arte, che dovrebbero creare fior di artigiani, producono sbandati incapaci, sempre perché incompetente è quasi sempre il docente. I Licei Classici poi, orribilmente quanto in modo inspiegabile, dedicano pochissimo tempo all’Arte e alla sua comprensione. E pensare che l’insegnamento della Filosofia prevederebbe un’Estetica che affianchi un’Etica. Stiamo perpetrando un gigantesco e costante suicidio culturale e non ce ne rendiamo conto, ma del resto l’Arte è ormai considerata l’inutile balocco dei “mercanti” e delle “imprese”, un’ennesima applicazione del “libero mercato”. Ai mecenati abbiamo sostituito gli imprenditori.

Dall’essere uno strumento di miglioramento fisico e spirituale, dell’Arte ne è stata fatta una merce qualunque e come tale trattata, soggiacendo al pensiero borghese e liberista che ha consentito così in pochi decenni la rovina di una civiltà, con buona pace di tutti i Grandi che ci hanno preceduti. Manca in Italia, ma non è che gli altri paesi stiano molto meglio, da quasi cento anni, una scuola pittorica che sia realmente degna di tale nome e quindi il nostro stato dell’arte non è certo più quello dei tempi di Lorenzo de’ Medici, ma neppure quello precedente l’ultimo conflitto mondiale. Durante il Fascismo infatti, come in altri settori, si è proceduto ad una salvaguardia e ad un incremento delle Belle Arti in senso “classico” e comunque “tradizionale”, certo in quanto funzionali al Regime, ma almeno non si è concesso l’anarchia avvenuta senza di esso.

Basti pensare a opere architettoniche e di decoro urbano presenti in tutto il territorio nazionale, edificate magistralmente, in breve tempo e soprattutto fatte per durare. La Repubblica, sorta dopo il tanto vituperato Ventennio, ha invece dimenticato i vincoli al paesaggio ed ha favorito la crescita fungiforme di orribili palazzi mal costruiti, in una pressoché totale assenza di gusto e di principi estetici, deturpando quasi ovunque la penisola e favorendo anche la criminalità organizzata. L’Arte, l’Architettura italiana, il nostro “genio” più brevemente, sino agli anni Quaranta del secolo scorso, sono stati portati ad esempio splendente anche da quegli stessi paesi che certamente non hanno appoggiato il regime di allora. Gli Stati Uniti dell’epoca non hanno esitato ad “impadronirsi” dei nostri migliori architetti, ingegneri e progettisti, così ora viviamo come vermi sul cadavere di un titano, produciamo scarti putrescenti là dove un tempo, creavamo meraviglie.

No signori, il Bello e la Bellezza in questo paese di omuncoli non lo vogliono più, lo rifiutano ogni giorno negli arredi urbani, nel design, nell’architettura, nella moda soprattutto a vantaggio del brutto, del “moderno”, dell’utile e dell’”ecologico”. Ci vogliono convincere che “ecologico”, per esempio, sia ciò che è fatto con materiale di scarto oppure rozzamente trattato, brutto a vedersi ma obbediente a qualche cosa che abbia davanti il prefisso inglese green.

Da molti anni inoltre è stata dichiarata una “guerra senza prigionieri” al concetto dell’Arte come veicolo per far sì che l’uomo possa essere qualcosa di più di una scimmia parlante, distruggendo le scuole e ponendo sempre l’incapace nel punto dove farà il maggior danno possibile escludendo così chi sa fare. L’esatto contrario di ciò che facevano Papi, Imperatori e Re; di ciò che facevano i Medici o i Gonzaga e i Borgia. Noi siamo l’ombra di noi stessi, ci siamo venduti, anzi abbiamo regalato la nostra primogenitura non più per un piatto di lenticchie, ma per un hamburger. Giacciamo riversi nel fango, ma alcuni, pochissimi, tra noi possono ancora contemplare le stelle e provare a non arrendersi o a morire nel tentativo.

Benché l’Italia possegga il sessanta o forse, più probabilmente, il settanta per cento del patrimonio artistico mondiale, sino ad oggi nessun governo è stato in grado di utilizzarlo pienamente come principale fonte di sano reddito e motore socialmente etico in quanto si pensa ad esso come ad un qualcosa di avulso dal suo “valore”, invece di considerarlo parte integrante e fondamentale del Tesoro dello Stato.

La Bellezza, l’Estetica dunque, è inscindibile dalla Giustizia e quindi dall’Etica, lo sapevano già i Greci dell’età di Platone; oggi invece noi cerchiamo di distinguere il bene dal male ignorando i comandamenti estetici. Ecco che, in tal modo, irrompe il predominio del brutto a favore della funzionalità, del “politicamente corretto”, soppiantando mistero e trascendenza. Non è per nulla un caso se una fondamentale base, per molti secoli, sia stata la Chiesa Cattolica che ha funto da committente per gli artisti, fino al primo Novecento. Dopo fu le deluge.

L’Arte è una delle poche risposte possibili ai mali che ci affliggono, agli incubi della droga, alla follia, al desiderio di autodistruzione, alle psicopatologie sessuali e quanto altro di peggio ha generato il nostro vantato mondo moderno rivolto al progresso, all’evoluzione infinita verso il futuro. Nessuna società che si rispetti può fare a meno della Bellezza, ma già Dio era morto, figuriamoci se non possiamo uccidere il Bello. Siamo diventati complici della bruttezza infliggendo violenze alle nostre anime distruggendo le piazze, il vero centro della società nei secoli che furono, dove gli uomini si potevano incontrare nel sogno delle “città ideali” del neoplatonismo ficiniano, sostituite ora dai centri commerciali. Le piazze erano l’orgoglio di qualunque architetto fino al secolo XIX, mentre adesso si ambisce a costruire mostruosi capannoni dove installare quanti più mercanti industriali possibile. Il tutto accuratamente fresco d’estate e accogliente in inverno.

La società globalizzata, paradossalmente, ha reso la Bellezza quasi inaccessibile, perché per goderne bisogna pagare, fare una fila e dopo pochi secondi ritornarne privi. L’opera d’arte che prima era condivisa con il popolo ora viene concessa ad esso per denaro e per poco tempo. Eppure l’Arte non deve escludere, al contrario è fatta per unire, per affratellare le genti, ricchi e poveri, dell’Est e dell’Ovest. La Bellezza è quella qualità superumana che resta ormai nascosta e che si allontana sempre più e quindi adesso si deve andarne in cerca come del Sacro Graal. E come il Graal è in grado di salvarci dalla morte, se non da quella corporale, almeno da quella dell’anima, più di quanto possano fare la scienza o le ideologie politiche.

Perché è il brutto ad essere immorale, lo sono coloro che rifiutano i canoni estetici e l’Armonia, rinnegando la Grazia e le antiche guide, in un mondo in cui alle sculture si sono sostituite le “installazioni” che si esauriscono con la chiusura delle biennali o delle tri-quadriennali di vario titolo.

L’Arte è fatta per durare nel tempo, anche quando è effimera, mentre adesso si crea per distruggere, invece che fare il contrario, è la nostra un’arte a “tempo determinato” ad “obsolescenza programmata”. In verità noi non abbiamo più un’immagine, ovvero un qualcosa che derivi dalla “magia” come il latino “imago” e dunque sia creatrice e portatrice di doni proprio come i Re Magi, ma siamo stati subissati da pseudo immagini predisposte a invogliare consumi e inutili necessità.

L’Arte poi supporta il Mito, mentre noi “moderni” costruiamo falsi miti destinati a estinguersi, sostituiti da altri dopo breve periodo. È un Kali Yuga spinto all’estremo, dove rotoliamo verso la distruzione, ma ridendo perché crediamo di essere su una giostra al luna park e invece di difendere con forza le nostre tradizioni artistiche, le barattiamo con altre che non ci appartengono facendo sì che il brand si imponga su tutto. L’originalità che la Bellezza contiene in sé e si persegue con cautela e sapienza, è stata svenduta per l’essere tutti uguali, apparentemente liberi e ipocritamente fraterni. Sotto la lama della ghigliottina moderna cadono le teste di chi non è mai allineato.

L’Arte, quella vera della quale il nostro paese e l’Europa tutta è stata così largamente dotata è adesso sempre più simile a una prigioniera assediata dalle forze del male, un male non occasionale ma strategicamente cosciente che agisce in piena luce. Il male dell’appiattimento verso il basso, del livellamento demonico del progressismo utilitaristico, del volontario oblio delle tradizioni e delle radici che anche nell’arte di un popolo affondano mantenendolo vivo. Siamo «nani sulle spalle di giganti», cerchiamo di essere uomini completi anche conservando le arti e il gusto per il Bello, perché a noi resta la speranza che la Bellezza possa ritornare ancora a camminare sulle rive del nostro mare e abbracciare così un cavaliere di nome Libertà.

Ed è erroneo pensare che l’Arte e la Filosofia, l’Estetica e l’Etica, ossia la Bellezza e la Verità, possano essere in qualche modo separate. Così come una cattiva filosofia non potrà mai condurre a una buona, bella e vera espressione artistica proprio perché un’assenza di etica non può fornire struttura portante a un’estetica. Né del resto si darebbe il contrario laddove l’estetica priva di contenuto spirituale diventerebbe mera apparenza. L’Estetica è quindi il contenitore dell’Etica, uno informa l’altro e l’uno necessita dell’altro. Pertanto più grave sarà la menzogna e dunque il “brutto” spacciato per Arte, peggiore sarà la sua resa artistica tanto dal lato morale, quanto da quello stilistico.

Ogni opera d’arte è anche la rappresentazione di una certa visione del creato, perciò una visione falsa delle cose produce soltanto una nuova menzogna a volte ben celata dal verbalismo dei critici e dei mercanti. La società attuale è priva di valori o li misconosce anche perché priva di buon gusto e di Bellezza.

Per Tommaso d’Aquino, l’Arte è “connessa con la conoscenza” e separata da questa non ha valore, quindi ogni abilità creativa deve essere finalizzata al “buon uso” e “confacente alla condizione”, e per quanto gli usi ai quali si applichi siano nobili o umili, mai cessa di essere Arte. Un’anfora per il vino di età romana è, di fatto, un’opera d’arte anche se non è stata creata per essere soltanto quella.

Il fine da conseguire era ed è la perfezione oltre che la Bellezza, esistendo soltanto una retorica e una dottrina del bello, dato che la Bellezza era considerata come il potere d’attrazione esercitato dalla perfezione assoluta, dipendente dalle proprietà, dall’ordine e dall’armonia delle parti, e insieme dalla chiarezza e dalla luce che San Bonaventura definisce come “la luce dell’arte”. «Il fine dell’arte è il benessere dell’uomo» dice Aristotile, non distante da Spinoza che vuole essere bene per l’uomo ciò che fa crescere la conoscenza e vicinissimo dunque a Oscar Wilde con il suo motto «il segreto della vita è l’arte». L’artista è dunque servitore dell’opera che compie, ma in un servizio che è espressione di perfetta libertà essendo esso l’adeguamento dell’opera creata all’intelletto creante.

È pertanto privilegio degli artisti essere veramente liberi, anche quando paiono costretti. Costrizione, si badi bene, puramente di ordine fisico o temporale, dovuta alle limitazioni di un muro, o di una tavola, non di carattere intellettuale infatti, Ars sine scientia, nihil insegnavano i nostri avi, ovvero: qualunque arte senza le adeguate conoscenze tecniche è meno che nulla. Il vero artista, sia esso pittore, musicista o scrittore, ha come scopo il compimento del suo proprio lavoro nel giusto modo: secundum rectam rationem artis. L’istinto, o meglio sarebbe dire il dono di natura che ha chi sente questo afflato verso l’Arte, non è sufficiente; è fondamentale, certo, ma non basta a sé stesso e al dono va sempre affiancata una dedizione allo studio della materia, delle tecniche, dei supporti e dei colori. Esiste un metodo per fare ciò che va fatto.

Si può anche non avere un maestro fisico – oggi troppo spesso chi insegna dovrebbe imparare – ma non è ammissibile essere privi di maestri ideali. L’artista deve ancora avere una vocazione, uno studio e un riconoscimento dai maestri della propria arte e così facendo seguire e rispettare la propria inclinazione naturale. Platone affermava pertanto: «Si potrà fare di più, meglio e più agevolmente quando ognuno farà quella sola cosa cui lo rende adatto la sua inclinazione».

Questo nobilissimo quando disatteso principio è una delle mille concause che ha creato l’attuale situazione sociale. Oggi molti, troppi, svolgono lavori, esercitano funzioni e compiti che non sono quelli adeguati alla loro inclinazione naturale. Si crede, erroneamente, che tutti possano fare tutto. Purtroppo non è così. Il “multiforme ingegno” è un dono che appartiene a pochi e anche a quei rari individui non è mai stata concessa l’onniscienza.

L’antico sistema delle Corporazioni Medievali, per esempio, ovviava a tali problemi. L’età contemporanea invece, dimenticando la saggezza platonica, non soltanto si agita caoticamente consentendo così a chiunque di autodefinirsi e autodesignarsi artista o, peggio, maestro di sé stesso, ma soprattutto finisce – procedendo contro natura – per generare un vero e proprio stato di malessere negli stati psichici, sottili ed infine fisici dell’uomo stesso.

Il concetto di “bello” obiettivo e universale che apparteneva alla cultura europea figlia della Grecia e di Roma, ha ceduto il trono al “brutto”, supportato prima dalle ideologie politiche e poi mercantiliste. Vero è che i grandi artisti hanno sempre saputo “rompere” con la tradizione, ma l’hanno fatto come fecero Giotto o Caravaggio, rinnovandola e attualizzandola senza rinnegarla o distruggerla proprio perché inseriti in essa e dunque pienamente coscienti del loro retaggio.

Le avanguardie, e peggio le transavanguardie, hanno rotto e rompono gli schemi – e non solo quelli – spesso senza né conoscere né possedere le conoscenze artistiche dei loro predecessori, quindi con un effetto puramente meccanico e irrazionale. Un’opera d’arte che sia veramente tale può essere considerata una prova dell’esistenza di Dio, nel senso che in essa si manifesta un elemento imponderabile che trascende l’esecutore stesso e colui che osserva. Quanta arte contemporanea può dire di contenere questo?

L’uso che si fa attualmente dell’arte contemporanea è l’equivalente di una guerra preventiva. Dove un tempo esistevano Papi e Imperatori e poi Mecenati, oggi troviamo il potere, e lo strapotere purtroppo, del mercato e dunque del denaro. Le Banche e le Fondazioni Culturali ad esse legate controllano l’Arte, non più l’intelletto umano come nel Rinascimento. Ecco cosa rende dunque adesso grande un’opera d’arte: la sua valutazione in denaro. Ragione per la quale molte opere artistiche, antiche, moderne o contemporanee vengono letteralmente “stoccate” nei caveaux proprio delle Banche o delle Fondazioni, così come si farebbe con riserve aurifere o monetarie. L’Arte non è più al servizio dell’uomo, affinché egli possa goderne, ma viene nascosta al bene dell’umanità.

Valutazione, badate bene, effettuata da “critici” pagati allo scopo di guidare un’ascesa economica e affiancati da mercanti come un qualunque altro prodotto finanziario sul quale investire e fare speculazione al solo scopo di incrementare la rendita ottenibile. L’Arte è una forma di “investimento assicurativo”, divenuta non più Amore ma moneta, guadagno e quindi merce di scambio.

Le quotazioni attuali degli artisti non sono diverse da quelle che possiamo trovare negli indici borsistici dei giornali economici e come quelli hanno i loro “titoli tossici” e possono provocare disastri finanziari. Il popolo non può accedere né comprendere queste opere ipervalutate perché slegate da ogni rapporto con la realtà se non quella economica e materialista, sono direttamente i buyer delle Fondazioni a compiere questo tipo di speculazioni più che i singoli privati. Si compra un quadro dietro consiglio di un critico così come si investe una somma di denaro in una stock option, ma il più delle volte lo stesso “critico-promotore” è interessato all’acquisto essendo egli stesso a libro paga del sistema economico. Questo non è fare arte né amarla, questo è basso mercatismo.

Dacché Economia e Politica sono due facce della stessa medaglia ne consegue che il potere cerchi sempre di utilizzare a sua precipua propaganda l’Arte stessa. Ma sovente il problema di fondo del potere contemporaneo e dell’errata amministrazione pubblica attuale è l’ignoranza e dunque l’incapacità di utilizzare al meglio il denaro dei contribuenti. Oggi il potere non ha più alcun rapporto con la Cultura, e quindi non sapendo più distinguere il bello dal brutto si consente agli incapaci di avvilire le nostre città e il nostro tempo con il frutto della loro insipienza. Paradossalmente, nel nostro passato, per una popolazione più ignara si producevano cose belle, oggi per una popolazione più ricettiva si produce l’orrore, dimentichi che tra il Bello e il Bene esiste un legame misterioso e indistruttibile. La Bellezza è un concetto universale al quale è affidato il potere di ricomporre in un’unità armonica il disordine fondamentale della realtà, rendendola capace, così, di rivelare un senso ultimo al di sopra del suo stesso caos. In tal senso l’idea della Bellezza per Dostoevskij coinciderebbe con quella di Platone: «Il bello è lo splendore del vero», passando per lo Pseudo Dionigi Aeropagita: «Dio ci concede di partecipare alla sua propria Bellezza».

Il secolo passato ci ha lasciato un pessimo esempio dell’interazione tra la politica e l’arte, facendo della seconda una serva della prima e non già, come dovrebbe essere, una sua estensione. Il declino del nostro Paese riguarda non soltanto l’economia o il costume, riguarda innanzitutto il livello culturale della popolazione e, di conseguenza, il baratro nel quale è lasciata sprofondare l’Arte. Tutto ciò è intollerabile ed inaccettabile. Analfabetismo di ritorno, scarsità di lettori, disinformazione e disinteresse la fanno da padrone nei nostri settori artistici di questo paese che hanno prodotto l’avvampante bagliore della Rinascenza. In Italia una politica culturale che rivaluti l’Arte è una necessità primaria, un dovere intellettuale, praticamente uno stato dell’essere, invece viene da lunghi anni ignorata e disattesa.

È vero che le urgenze sono la salute, l’aumento dei salari, la riduzione delle tasse e la sicurezza, ma un popolo di benestanti ignoranti avrà sempre un basso tenore di civiltà e un paese di buoni borghesi, privi di una qualsiasi forma artistica non è degno di essere considerato una società civile.

L’Arte è e deve essere parte integrante e fondamentale di qualunque popolo. Perché un popolo senza cultura né arte non sarà nemmeno in grado di utilizzare nel modo migliore tutti i vantaggi che gli deriveranno dal proprio benessere materiale. Senza spirito la materia è morta. Così è una nazione, una civiltà degna di tale nome. La politica quindi dovrebbe avere il coraggio di essere impopolare nel precedere i cittadini per renderli migliori, avendo il coraggio di sostenere e privilegiare la priorità dell’emergenza culturale su ogni altra.

L’ignoranza, l’assenza di buon gusto, di educazione al Bello, alla lettura e all’Arte ha prodotto, tra gli altri scempi, spesso una classe dirigente e politica sempre più squalificata e desolante. Sono gli stessi assisi in Parlamento che ignorano quest’emergenza culturale, che non sanno chi ha dipinto gli affreschi a loro intorno, e non capendoli se ne disinteressano. Come potrebbero dunque codesti “onorevoli” interessarsi a una rivalutazione della Cultura?

Fra la Cultura e la Politica si è creata quindi una tale separazione che chi si occupa dell’Arte è relegato ai margini della società, perché la Cultura è divenuta uno spazio ristretto, estraneo spesso anche alle istituzioni che ad essa dovrebbero essere dedicate con amministratori troppo spesso profondamente ignoranti. Più che di corrotti, abbiamo una classe dirigente incapace di spendere correttamente il denaro a loro disposizione. Basti porre mente a come invece sono state pensate le città del Cinquecento. Guardate Pienza o Urbino, luoghi meravigliosi creati per l’uomo in ogni sua declinazione, affinché tutto concorresse al bene comune. Strutture, quelle sì, veramente “eco compatibili” e “bio dinamiche”, pensate per durare nei secoli e non per favorire gli intrallazzi economici di pochi.

Il committente allora era il potere dei papi e dei signori, ma in quei tempi il dialogo tra la cultura e il potere era quello tra un Michelangelo e un Giulio II ed il risultato era una creazione artistica e architettonica e dunque urbanistica di altissimo livello. Questo perché un tempo la centralità della Cultura rendeva grandi i papi e gli imperatori proprio perché altrettanto grandi erano gli artisti da essi sostenuti. Lorenzo il Magnifico è sommo perché sommo è Sandro Botticelli al suo servizio.

Oggi invece fra chi esegue e chi commissiona l’opera non esiste più rapporto né intesa, il rapporto tra l’artista e la politica è regolato o da “interessi di partito”, dunque di “tessera”, oppure di mera conoscenza e, nella migliore delle ipotesi, amicizia per sfociare necessariamente nel più vieto clientelismo. E nessuno reagisce più a questo scempio, tanto ci siamo assuefatti a essere conquistati e dominati dalla sottocultura del brutto, in un insensato genocidio dove il “nuovo che avanza”, il moderno vuole esclusivamente distruggere tutto ciò che odia di più: la nostra Cultura e la nostra Tradizione. Invece di recuperare antichi spazi, anche con un minor costo per lo Stato, preferiamo farne costruire di nuovi, decisamente più sgradevoli, con la scusante dell’economia o dell’accentramento, creando ulteriori esborsi e nuove mostruosità destinate a decadere in breve tempo.

Le differenze, le differenti “identità” culturali e dunque dei popoli, non soltanto europei, devono essere annichilite seguendo le direttive di un progetto occulto che va svelandosi ai nostri occhi ogni giorno di più e che prevede, in primis l’annullamento di ogni estetica che si rifaccia al nostro passato.

Nessuna multinazionale, né Corporazione, né Stato asservito al sistema permetterà mai più un ritorno dell’Arte così come essa deve essere intesa, ma pare che anche questa sia la civiltà, la democrazia, che avanza così verso un mondo unito sotto un’unica bandiera: quella delle banche, e dei social network, tutti perennemente connessi. Ridotti a livello di bestiame, di bruti, ma sempre connessi.

Fonte immagine-dipinto: Ars Europa, http://www.arseuropa.org, pagina Facebook “Ars Europa”.

Didascalia: «Nato in una famiglia modesta e destinato dal padre alla professione di sarto, Charles Meynier – nato a Parigi il 24 novembre 1768 – aveva però come unico desiderio quello di diventare un pittore. Fu il fratello maggiore – attore della Comédie-Française – a farlo ammettere nello studio di François Vincent. Meynier si impegnò moltissimo, ottenendo così riconoscimenti e successi, sino a vincere il Prix de Rome nel 1789. E fu proprio il soggiorno a Roma, spettante al vincitore, che gli permise di completare e indirizzare il suo talento e le sue scelte di stile. In questo dipinto del 1798, Apollo, dio delle arti, è in compagnia di Urania, Musa dell’astronomia, che appoggiata a una sfera celeste lo ammira assorta. Olio su tela, The Cleveland Museum of Art».

 

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