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The Northman: il ritorno del Mito al cinema

E’ uscito nelle sale cinematografiche The Northman, opera di Robert Eggers (The Witch, The Lighthouse). La pellicola propone l’Amleto, riportandolo al suo contesto originale scandinavo, come da racconto di Saxo Grammaticus (1200 d.C.), antecedente a quello più noto di Shakespeare. La trama è ovviamente conosciuta: lo zio paterno di Amleto uccide suo fratello usurpandone il regno e rapendone la madre. Il giovane Amleto promette di vendicare la morte del padre e di salvare la madre. Questa storia piuttosto semplice fornisce lo spunto per mettere in scena un drama che affronta una molteplicità di temi, visivamente messi in scena da Eggers in maniera assolutamente mirabile.

La prima considerazione che si può fare è che si viene catapultati in una civiltà, indoeuropea, lontanissima dalla nostra. Non tanto per un fattore temporale, quanto tradizionale, spirituale. Mentre la nostra è una società che ha “eliminato” il «Sacro», quella in cui si svolge il film ne è pervasa in ogni aspetto ed è vastissima la simbologia a riguardo. Fin dall’inizio, e ricorrente per tutto il film, l’Albero della Vita che collega le generazioni passate con quelle future passando da quella contemporanea, a simboleggiare il legame organico che fa da collante alla comunità dei protagonisti, legame che guida tutte le attività umane, e che ritorna proprio al termine del film come a “chiudere il cerchio” della vita.

La diversità nel vivere il tempo è un segno caratteristico della distanza tra società moderna e tradizionale: mentre nella prima esso è pensato come una semi-retta con un inizio e senza alcuna fine, nella società di tipo tradizionale è appunto ciclico. In tale contesto, fondamentale è la natura, che non è solo vista come “bellezza di sfondo”, ma ha un ruolo simbolico fortissimo: l’azione decisiva del protagonista può avere effetto solo in un preciso luogo e in un preciso tempo, pena l’impossibilità di compiere l’azione giusta. In tal senso, il ruolo dello sciamano è centrale dato che grazie a stati alterati di coscienza è in grado di entrare in contatto con la Natura e favorire il bun esito dei riti propiziatori, ricorrenti nell’arco di tutta la pellicola: emblematico il volo degli uccelli, che porta la mente subito alla nascita di Roma, il cui Natale tra l’altro è avvenuto proprio pochi giorni prima dell’uscita del film nelle sale italiane.

Altro elemento naturale chiave è il fuoco, alla cui sola presenza l’Eroe può realizzare il proprio compito; e come in questo senso, nuovamente, non pensare a Roma, che vide iniziare il suo declino proprio quando il Fuoco Sacro viene spento, a favore della “nuova religione” proveniente da Est? Sempre pensando a Roma, ritorna il mito dei due fratelli portati in salvo lungo un viaggio su un corso d’acqua e destinati a fondare un grande Impero. Non può, ovviamente passare inosservato, un altro grande mito: la spada che solo sguainata dall’Eroe e utilizzata nel modo e nel tempo corretto è l’unico strumento capace di riportare la Giustizia, ma solo il “giusto” può appunto utilizzarla. Chiarissimo come il mito di Excalibur e di Artù, almeno nella versione di Robert de Boron, faccia riferimento a questo racconto scandinavo.

A proposito del concetto di guerra, drammaticamente attuale, si può cogliere la differenza tra una società politeista e una monoteista nei confronti di attacchi ad altre popolazioni: seppure le guerre e le conquiste di altre popolazioni si susseguano lungo tutto il racconto, mai nessuno fa riferimento a “guerre sante”, a “infedeli da convertire”, o a popoli da combattere perché non credono nei valori dei conquistatori. Se qualcosa si vuol vedere di spirituale nella violenza, è semmai l’affermazione di Sé, nel caso del film di Eggers il mettersi alla prova per raggiungere il Valhalla, attraverso una morte eroica sul campo di battaglia. Ancora, in termini di confronto tra “atteggiamenti religiosi”, magnifica la rappresentazione tra una spiritualità solare che vince su quella ctonia, nel duello tra l’Eroe e una sorta di Re-fantasma proprio per acquisire il controllo sulla Spada del Fato. L’ amor fati e la possibilità per l’uomo di diventare Eroe portando a termine la missione che esso gli ha assegnato, a qualunque costo, sono il vero tema centrale del film.

Solo mantenendo una propria tenuta interiore l’Uomo acquista la libertà e indirizza le proprie azioni e la propria vita, nonché quella della sua discendenza, in armonia con il proprio destino e riesce a ristabilire la giustizia e l’ordine nel Cosmo, anche ponendo rimedio alle ingiustizie. Questo fa di un uomo un Eroe libero, e non certamente l’assecondare le proprie passioni o i calcoli razionali che seguano i propri interessi particolari, e anche su questo punto Eggers lo fa emergere con grande maestria.

Calando la storia del film nell’attualità, non può passare inosservato il fatto che si evidenzi come gli Scandinavi, popolo da cui proviene il protagonista, abbiano dato vita al Principato di Rus, successivamente a quello di Kiev. Avevano una religione solare; cosa ben diversa erano le popolazioni slave, da cui proviene la co-protagonista, portatrici di una religione femminile e ctonia. Insomma, le antiche popolazioni ucraine di derivazione scandinava erano alla guida di una popolazione a maggioranza slava, composta anche da popolazioni delle steppe. Il Racconto dei tempi passati, redatto nel 116 dallo storico della Rus’ kieviana Nestor di Pečerska, è indicativo in tal senso.

Il periodo eminentemente scandinavo della Rus’ di Kiev fu il primo di innumerevoli cambiamenti. L’aristocrazia kieviana, i boiari, benché slavizzata nei costumi restò in prevalenza di origine normanna per tutto l’alto Medioevo e oltre. Nel XII secolo, la Rus’ di Kiev era un ricco e potente Stato normanno-slavo, mentre Kiev era una delle città più gradi d’Europa e contava più di diecimila abitanti. Vennero poi in seguito le invasioni tartaro-mongole e rimase poco dell’antica grandezza. L’intero Principato di Kiev fu preda di innumerevoli invasioni che distrussero il tessuto sociale e quello politico, mentre la Rus’ di Kiev andò incontro alle tante lotte di successione e venne definitivamente smembrata. L’unica città che sfuggì alla distruzione fu Novgorod, la quale perpetuò la linea dinastica di origine scandinava, quella dei Rurik, il cui nome deriva dal capostipite Heinrich di certo non di origini slave, venne mantenuta fino alla morte del figlio di Ivan il Terribile, avvenuta nel 1598. 

In conclusione, ritengo The Northman un film assolutamente da vedere per almeno due ragioni, oltre a quella puramente artistico-visivo: dopo 41 anni, cioè dall’uscita di Excalibur (1981) di John Boorman, finalmente torna una storia che riporta il Mito delle originarie popolazioni indoeuropee sugli schermi in modo credibile e mirabile; e, in secundis, perché gli archetipi tradizionali non si pongono rispetto alla modernità riguardo ad un arco temporale, non sono precedent alla modernità, semmai sono il frutto di una lunga sedimentazione in cui giocano un ruolo importante il modo di vita, le trasformazioni del vivere in comune e l’inconscio di un popolo, adempiendo ad un ruolo importante. Quindi essi possono essere riportati in vita anche da noi uomini di oggi, se poniamo al centro della nostra vita proprio gli insegnamenti e i valori che hanno sempre fatto parte dei nostri popoli.

Come ha scritto giustamente Alain de Benoist, «quando le tradizioni popolari erano vive e attive, non erano considerate come tali, ma piuttosto come una cornice quasi naturale che ritmava l’esistenza storico-sociale. Dal momento in cui si può oggettivare la nozione stessa di tradizione, quest’ultima e’ già’ minacciata». Una verità che molti dimenticano, preferendo l’immancabile nozione di una tradizione o delle tradizioni declinate solamente al passato.   

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