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Marco Tarchi

Intervista rilasciata all’HuffingtonPost: “Anche Meloni, come tutti i partiti anti-sistema, al governo farà accordi coi poteri forti”

Intervista al politologo Marco Tarchi: “Fratelli d’Italia si fa interprete dei valori conservatori e del rifiuto di questa Ue: se si omologasse perderebbe consensi e dimostrerebbe senso di inferiorità”

Per il New York Times, con i “neofascisti” al governo, l’Italia rischia un “futuro tetro”. Altre testate hanno messo in guardia sui rischi nel caso di vittoria elettorale di Giorgia Meloni il prossimo 25 settembre. Si discute su come potrebbero cambiare i rapporti dell’Italia con l’Ue, con i mercati finanziari, con la Nato. Ne abbiamo parlato con Marco Tarchi, politologo, professore ordinario di Scienza politica all’Università di Firenze.

Professore, Giorgia Meloni ha commentato gli articoli parlando di macchina del fango. Ma ha un problema di credibilità internazionale?

L’articolo si pone all’interno di una dialettica politico-mediatica ormai abituale, in qualunque contesto democratico. Gli organi di stampa progressisti, largamente maggioritari, attaccano i partiti e i leader del fronte avverso. Quelli conservatori, nel loro piccolo, fanno lo stesso. Chi può più credere alla favola dell’obiettività giornalistica, quando in gioco ci sono questioni che attengono a elezioni e governi? Non c’è nessun complotto, c’è una scelta – peraltro scontata – di editori e redattori del maggiore quotidiano statunitense. Quanto alla credibilità a livello internazionale, il discorso non cambia granché. È ovvio che i governi di centrosinistra faranno, nei prossimi due mesi, filtrare ufficiosamente il loro disappunto per l’ipotesi Meloni a Palazzo Chigi. Quelli di centrodestra si comporteranno diversamente. La scena si è già vista nel 1994, nel 1998 e nel 2001 nei confronti di Alleanza nazionale. Ma alla fine, se sarà sul tavolo, il boccone sarà ingoiato anche da Biden, da Macron, da Scholz e via dicendo. Magari compensando la sconfitta con qualche gesto di freddezza o qualche smorfia nei vari incontri al vertice, almeno nei primi tempi. Ovviamente, i giornali progressisti torneranno periodicamente a punzecchiare questo o quell’esponente di Fratelli d’Italia per il passato missino e a enfatizzare eventuali post “inadeguati” di qualche ingenuo esponente locale del partito che si lasciasse andare a elogi di qualche aspetto del Ventennio. Agli elettori potenziali di Giorgia Meloni tutto questo non fa, e non farà, né caldo né freddo.

Meloni ieri e La Russa oggi, in due interviste, usano toni pacati, danno rassicurazioni sull’atlantismo. Basteranno le loro parole? 

Mi sembra difficile immaginare professioni di fedeltà atlantica più calorose di quelle che non da oggi danno i dirigenti di Fratelli d’Italia. L’allineamento ai desiderata di Washington e della Nato non potrebbe essere più assoluto, e il desiderio di acquistare ulteriore credibilità come forza di governo – e forse come guida del medesimo – certamente non spingerà a passi indietro. Che ci possano essere riserve mentali, rispetto a questo atteggiamento, fra i quadri intermedi del partito, e soprattutto fra i suoi elettori, non c’è dubbio: sul ruolo degli Usa in campo internazionale e sull’americanizzazione culturale c’è, nella tradizione missina e post-missina, un forte lascito critico. Ma, come in politica accade a tutti i partiti, se serve per raggiungere gli obiettivi fissati, questo tipo di giudizi si tengono per sé e si ingoia il rospo. Da Machiavelli in poi, l’importanza cruciale dell’ipocrisia – e/o della dissimulazione – in politica è un fatto assodato.

Fratelli d’Italia è stata anche molto chiara e netta sull’invio delle armi in Ucraina. Questa linea è sufficiente ad alleviare i timori degli interlocutori internazionali?

Io credo che molti degli interlocutori internazionali, rispetto alla questione ucraina, dopo il 25 settembre avranno ben altri interrogativi da porsi, e inizieranno a chiedersi – qualora non lo stiano già facendo – se la politica delle forniture d’armi e delle sanzioni alla Russia stia avendo più risultati positivi o più effetti-boomerang. E non escludo che, di fronte alla crescita del disagio sociale che non è difficile prevedere, saranno altri capi di governo, ben prima di una ipotetica Meloni presidente del Consiglio, a suggerire modifiche di rotta.

Alcune prese di posizione – pensiamo alla stima per Orban, ai rapporti con Bannon – non possono essere cancellate. Saranno un ostacolo?

I due casi che cita sono ben diversi. Bannon era ed è un avventuriero, in parte millantatore di crediti, nei cui progetti megalomani e inconsistenti alcuni partiti populisti si sono impigliati, dimostrando prima di tutto ingenuità. Orban è il primo ministro, largamente riconfermato dalle recenti elezioni, di un paese dell’Unione europea. È, e suppongo rimarrebbe nel caso di Meloni a capo del governo italiano, un interlocutore importante e un partner utile a rafforzare, su taluni punti comuni, un fronte di opposizione a talune decisioni dell’Ue che sono in contrasto con le posizioni dei conservatori e dei sovranisti. Sarebbe un grave errore sacrificare questo rapporto in nome del buon vicinato con governi come quello francese, spagnolo (per adesso) o tedesco, che sarebbero sempre pronti a mettere in difficoltà un esecutivo di centrodestra italiano qualora se ne presentasse l’opportunità.

Il discorso di Meloni al raduno di Vox ha fatto il giro del mondo. Ora lei riconosce che rivedrebbe i toni, non i contenuti. E quindi il “no” ai diritti lgbt, all’aborto, al fine vita e il “sì” alla chiusura delle frontiere. Quanto peso hanno esternazioni di questo genere per i nostri interlocutori internazionali, Ue in primis?

Se l’Unione europea continuerà a seguire, come fa da tempo, un’impostazione ideologica che ha nel politicamente corretto progressista il suo punto di riferimento, Meloni dovrà mantenere un’impostazione di forte critica, perché fra i motivi del suo successo il riferimento ai valori conservatori è fondamentale. Nello sbiadire del vecchio spartiacque sinistra/destra, il vero versante di conflitto politico oggi è questo, e se è vero che la sinistra è ormai egemone nel ceto politico-intellettuale, fra le classi popolari l’ostilità verso quel credo che, ad esempio, Ricolfi e Mastrocola hanno fustigato nel loro Manifesto per il libero pensiero – cancel culture, rivendicazioni woke, teoria del genere, esaltazione acritica dell’immigrazione ecc, – è sempre molto forte, se non crescente. Se Fratelli d’Italia rinunciasse a farsi interprete di questo rifiuto – in altre parole, se rinunciasse ad incarnare i valori conservatori contro quelli progressisti – per omologarsi all’establishment, perderebbe in breve buona parte dei consensi che pare abbia guadagnato negli ultimi due anni. 

A proposito di Ue, Meloni esultava per una sentenza della corte costituzionale polacca che sosteneva la primazia del diritto interno su quello europeo. Se diventasse premier, visioni come questa potrebbero compromettere i rapporti tra Roma e Bruxelles?

Se Meloni rinunciasse a contestare le interpretazioni dei trattati che la Commissione europea e le istituzioni ad essa collegate danno – tutte e sempre in linea con l’ideologia progressista –  non solo tradirebbe i suoi elettori, ma dimostrerebbe di soffrire di un complesso d’inferiorità e di essere diversa da come ha sempre dichiarato di essere, di fatto, darebbe ragione ai suoi avversari, che sognano di vederla allineata alle scelte della von der Leyen e quindi omologata ai loro desiderata.

Scorrendo tra le dichiarazioni passate di Meloni, ce n’è una contro Goldman Sachs. Alla luce di esternazioni come queste, banche e mercati hanno ragione ad essere preoccupati?

Non credo proprio. I partiti che conquistano consensi con una retorica anti-establishment, non appena riescono (succede di rado, ma succede) a conquistarsi un ruolo di governo cercano di assicurarsi i migliori rapporti possibili con quei “poteri forti” contro cui tanto hanno tuonato e, nell’impossibilità di tagliar loro le unghie, si prodigano in rassicurazioni. In genere, non cambiano i dirigenti di settori-chiave dell’amministrazione, in primis quello economico, perché non hanno soggetti provvisti di adeguate competenze con cui sostituirli, e di conseguenza di politiche economiche alternative non si vede l’ombra. È uno dei loro punti di maggiore debolezza, da sempre, e lo si è già visto, in buona parte, con i vari governi diretti da Berlusconi, malgrado le precedenti dichiarazioni bellicose di esponenti della Lega o della stessa Alleanza nazionale. Stiamo parlando di ipotesi di governi nati dal verdetto delle urne, non da rivoluzioni…

Ricollegandoci alla domanda iniziale, il New York Times immagina un futuro tetro per l’Italia, con Giorgia Meloni premier. Lei, invece, come immagina il futuro del nostro Paese dopo le elezioni?

Non avendo una visione particolarmente rosea – sotto il profilo politico – della situazione italiana presente né di quella del passato più recente, non ho particolare preoccupazione per gli scenari futuri, né particolari aspettative. Forse anche perché, a differenza della grande maggioranza dei miei colleghi, non ho simpatie verso alcun partito, e cerco di limitarmi ad analizzare realisticamente la politica, senza fare sconti a nessuno.

(L’intervista di Federica Olivo a Marco Tarchi, pubblicata sul quotidiano HuffingtonPost, “Anche Meloni, come tutti i partiti anti-sistema, al governo farà accordi coi poteri forti”, www.huffingtonpost.it, 25 luglio 2022)

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