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Sangue nel Paese dei Cedri: la guerra civile libanese (con il prof. Francesco Mazzucotelli)

Il prof. Francesco Mazzucotelli è docente di Storia della Turchia e del Vicino Oriente presso l’Università di Pavia, dopo aver conseguito il dottorato alla Università Cattolica di Milano con una tesi sui processi di mobilitazione politica e sociale tra la popolazione sciita nel Libano contemporaneo. I suoi ambiti di ricerca e di interesse vertono sui processi identitari, sulla politicizzazione delle identità etniche e confessionali, sulla costruzione del modello istituzionale confessionalista, e sul ruolo degli spazi urbani e dei processi di urbanizzazione nei processi di inclusione e di marginalizzazione politica e sociale.

Da secoli, il Libano è caratterizzato da una pluralità di comunità etniche e religiose, di per sé minoritarie rispetto all’Islam sunnita ormai prevalente nella regione del Levante. Già in epoca ottomana, infatti, vi erano stati scontri tra cristiani maroniti e drusi. Proprio sulla forte presenza cristiana aveva fatto leva l’imperialismo francese, nel periodo tra le due guerre, favorendo il distacco del Libano dalla Siria e la sua costituzione come Repubblica indipendente.

Nei decenni successivi, le tensioni tra maroniti, armeni, drusi, sunniti, sciiti, laici, ecc. erano montate, fino a raggiungere un punto di non ritorno, a causa della presenza nel Libano meridionale di un elevato numero di profughi palestinesi, tra cui le milizie dell’Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP). Dagli scontri tra miliziani palestinesi e falangisti cristiani, nel 1975, si passò alla guerra aperta tra le opposte fazioni.

Ben presto, anche gli Stati confinanti intervennero nel conflitto: la Siria (dal 1976), che occupò la parte orientale del Paese, e Israele (dal 1978), deciso a sconfiggere le forze palestinesi, che utilizzavano il Libano come base per le loro incursioni. Nell’estate del 1982, si raggiunse un climax nella violenza, con l’assedio israeliano di Beirut, e l’assassinio del leader falangista Bashir Gemayel, poco dopo la sua elezione a Presidente, a cui seguì come rappresaglia la strage dei campi palestinesi di Sabra e Shatila.

Il conflitto proseguì ancora per anni, nonostante l’intervento di una forza di pace multinazionale tra 1982 e 1984, e vide la formazione, sulla scia della Rivoluzione islamica in Iran, del movimento islamista sciita Hezbollah. Solo nel 1990, a seguito degli accordi di Taif e della sconfitta del generale Aoun, si arrivò ad una fragile pace tra le varie fazioni.

L’amnistia varata l’anno successivo inaugurò una precaria riconciliazione, impedendo però che fosse fatta giustizia sugli innumerevoli crimini commessi da tutti gli schieramenti. Anche per questo, le ferite lasciate dalla guerra sono ancora aperte, anche dopo la Rivoluzione dei Cedri e il ritiro delle forze d’occupazione siriane (2005). Non a caso, lo scoppio di un conflitto civile, altrettanto lungo e sanguinoso, nella vicina Siria rischia di riattizzare le tensioni.

Il link del dibattito in remoto sulla pagina YouTube “Punto e Virga”: https://www.youtube.com/watch?v=6odV-jP3yU4

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