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Alain de Benoist: «Perché il conflitto israelo-palestinese è religioso e metafisico»

BOULEVARD VOLTAIRE: Quest’anno Israele celebra il suo settantesimo anniversario. Alcuni a Destra lo vedono come un’estensione dell’Occidente verso l’Oriente. Altri, a Sinistra, uno stato coloniale. Gli stessi Israeliani appaiono divisi sulla questione, combattuti tra il socialismo originario e la febbre mistico-religiosa. Cosa resta degli ideali sionisti oggi?

ALAIN DE BENOIST: L’ideale sionista porta con sé sia il successo che il fallimento. Il successo ha un nome: è lo Stato di Israele, la cui nascita nel 1948, nelle condizioni che conosciamo, dimostra chiaramente che un’idea che per lungo tempo è stata solo un’astrazione (o un sogno) può talvolta realizzarsi in concreto. Ciò è tanto più notevole in quanto all’epoca in cui Theodor Herzl scrisse il suo Lo stato ebraico (1896), il sionismo era lungi dall’essere unanime negli ambienti religiosi ebraici. Questo successo comprende anche un altro aspetto: la straordinaria rinascita dell’ebraico parlato, grazie in particolare agli sforzi di Eliézer Ben-Yehoudah.

Il fallimento fu dovuto al fatto che l’ideologia sionista si basava inizialmente sulla convinzione che solo la creazione di uno Stato ebraico avrebbe fornito al popolo ebraico un luogo sicuro dopo secoli di tribolazioni e persecuzioni, mentre oggi vediamo che Israele è forse il Paese dove gli ebrei sono meno al sicuro! A ciò si aggiunge il fatto che il vecchio slogan «una terra senza popolo per un popolo senza terra» non era affatto irenico: la Palestina ovviamente non è mai stata una «terra senza popolo».

BOULEVARD VOLTAIRE: Il conflitto israelo-palestinese dura dalla nascita dello Stato di Israele. Come pensi che potrebbe avere una fine?

ALAIN DE BENOIST: Israele non vuole uno Stato binazionale, perché sa bene che a breve termine, per semplici ragioni demografiche, questo Stato cesserebbe di essere uno Stato ebraico. Ma non vuole nemmeno una soluzione a due Stati, ritenendo che uno Stato palestinese costituirebbe una minaccia per esso. Tutte le opzioni sembrano quindi bloccate.

Credo che una volta fu chiesto al politologo Quentin Skinner chi avesse ragione, secondo lui, tra gli israeliani e i palestinesi. Rispose che avevano ragione entrambi e che per questo il conflitto non sarebbe mai finito. Questa è anche la mia opinione, ma per un motivo diverso: più che un conflitto politico, strategico, territoriale o demografico, il conflitto israelo-palestinese è innanzitutto un conflitto religioso e metafisico. I conflitti metafisici non sono negoziabili. Non ci possono essere compromessi, perché il Bene non può scendere a compromessi con il Male. Quando entrambe le parti si vedono non solo come nemici, ma come incarnazioni del Male, la guerra diventa inespiabile. Si conclude solo con la scomparsa di uno dei belligeranti.

BOULEVARD VOLTAIRE: Le ultime manifestazioni palestinesi nella Striscia di Gaza hanno provocato più di cento morti e mille feriti. Israele sostiene che Hamas metta in prima fila i manifestanti, soprattutto i bambini, affinché vi siano tra loro quante più vittime possibile, per attirare la simpatia dell’opinione internazionale. Cosa ne pensi?

ALAIN DE BENOIST: In questo caso ci sarebbe un ottimo modo per sventare questo calcolo cinico:  non sparare ad alcuno! D’altra parte, il ragionamento secondo cui l’esercito israeliano servirebbe la causa palestinese quando uccide Palestinesi non mi sembra che porti molto lontano… Da parte mia, mi attengo alle definizioni correnti. Quando un esercito regolare spara proiettili veri contro manifestanti equipaggiati solo con pietre, bastoni, bombe molotov e aquiloni, si parla di massacro.

Per quanto riguarda la decisione di Donald Trump di trasferire l’ambasciata del suo Paese da Tel Aviv a Gerusalemme, il cui significato simbolico è evidente, ricordiamo che è stata presa in violazione della risoluzione adottata il 29 novembre 1947 dall’Assemblea plenaria dell’ONU, che pose Gerusalemme sotto un regime internazionale speciale (motivo per cui furono istituite le ambasciate straniere a Tel Aviv).

BOULEVARD VOLTAIRE: In Francia, in certi ambienti conservatori, si dice spesso che ciò che accade lì «non ci riguarda». Molte persone a Destra dicono anche di essere solidali con gli israeliani per il solo motivo che si trovano contrapposti agli arabi. Una politica miope?

ALAIN DE BENOIST: Quando indichiamo la Luna, ci sono sempre degli idioti che guardano il dito! C’è anche chi preferisce guardare a ciò che succede tra le nostre mure domestiche, piuttosto che interessarsi a ciò che accade all’estero. Credo che sia inutile cercare di far loro capire che quanto sta accadendo in Palestina è solo una tessera della scacchiera mediorientale, e che quanto sta accadendo su questa scacchiera ci riguarda direttamente, se non altro perché condiziona il mantenimento della pace o la scoppio della guerra mondiale. Nell’era della globalizzazione, le conseguenze dei grandi eventi non si fermano ai confini più di quanto non lo facciano gli sconvolgimenti climatici o le nubi di Chernobyl. Quanto a coloro che amano vedere i Palestinesi fucilati in Israele perché vorrebbero vedere qualcosa di simile accadere nelle periferie, non possiamo che consigliare loro di andare a vivere per un po’ nei Territori Occupati. Noteranno che le due situazioni non sono in alcun modo paragonabili, che gli «occupanti» non sono gli stessi e che non è molto logico deplorare la «Grande Sostituzione» in Francia sostenendo, nei Territori, la Grande Sostituzione dei palestinesi (che sono anche loro a casa loro) da parte dei coloni israeliani.

Intervista a cura di Nicolas Gauthier, Alain de Benoist : «Pourquoi le conflit israélo-palestinien est d’ordre religieux et métaphysique», luglio 2018, pubblicata sul magazine Boulevard Voltaire.

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