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Metapolitica

Ernst Niekisch: un “romantico dell’abisso” con lo sguardo sull’avvenire

Ernst Niekisch (1889-1967) è fondamentalmente un eccentrico della cultura europea novecentesca. Lucido sismografo dell’interregno (Zwischenreich) vissuto dalla patria europea, in transito nichilistico verso gli esiti modernisti e postmoderni di cui oggi scorgiamo le propaggini estreme, Niekisch rimane un autore difficilmente inquadrabile secondo schemi rigidamente ideologici. Gli ostracismi da lui subiti in vita sono un segno tangibile di una radicale predisposizione interiore da Anarca – à la Jünger: perseguitato e incarcerato, nel 1937, dai nazionalsocialisti, in lotta con la DDR, dopo la repressione dei moti operai da parte del governo Ulbricht, nel 1953, ignorato criminalmente, infine, nella “liberale” Germania occidentale, dove morì nel 1967.

Sebbene Niekisch non sia integralmente assimilabile ad alcun orientamento ideologico univoco, la Konservative Revolution è indubbiamente la sua “famiglia” di appartenenza. Questo legame, riconosciuto dalla gran parte degli studiosi, può esser chiarito con le lenti interpretative offerte da Armin Mohler. La sua celebre definizione distingue, all’interno della Rivoluzione Conservatrice, cinque principali orientamenti: la corrente völkisch (Otto Sigfrid Reuter, Ludwig Ferdinand Clauss), quella jungkonservative (Arthur Moeller van den Bruck, Oswald Spengler, Wilhelm Stapel), la linea bündisch (erede del movimento Wandervögel), la Landvolkbewegung (orientamento contadino dello Schleswig-Holstein), la prospettiva nazional-rivoluzionaria (Ernst Jünger, Ernst von Salomon, Hugo Fischer).

Niekisch rientra in quest’ultima prospettiva, il suo nazionalbolscevico rappresenterebbe persino «la punta esacerbata, parossistica, della corrente nazional-rivoluzionaria» (Alain de Benoist). Della Rivoluzione Conservatrice, l’ideologia di Niekisch condivide alcuni riferimenti culturali – il pensiero di Nietzsche, ad esempio –, nonché l’antimodernismo, il rifiuto del materialismo borghese e capitalista, il perseguimento di una progettualità politica aperta all’avvenire e alla manifestazione di elementi conservatori e tradizionali all’interno di forme storiche e sociali nuove. Diversamente da altre espressioni rivoluzionario-conservatrici, tuttavia, la posizione di Niekisch è più radicalmente rivoluzionaria, e prende le distanze dall’immaginario estetico e valoriale tanto della tradizione aristocratica europea quanto del mondo rurale germanico.

Una peculiarità dell’avventura ideologica (e umana) di Niekisch è indubbiamente la sua radicale avversione al nazionalsocialismo, cui egli fu da sempre apertamente ostile – in questo diversamente da tanti altri esponenti della Rivoluzione Conservatrice. Dell’“hitlerismo” Niekisch offre una lettura non sempre condivisibile, a nostro avviso, soprattutto per alcuni limiti dell’impianto marxista che emerge variamente nella sua prosa, ma la sua prospettiva rimane senza dubbio originale e acuta rispetto a certi specifici aspetti del fenomeno, di cui la miglior fenomenologia e critica è certamente fornita ne Il regno dei demoni (pubblicato nel 1953 ma incominciato negli anni ’30 – il saggio, unitamente a Una fatalità tedesca, del 1932, è stato recentemente ripubblicato in Italia per i tipi di NovaEuropa)

Del nazionalsocialismo Niekisch rifiuta l’attitudine volgare e piccolo borghese, nonché la subordinazione agli interessi del Capitale (in questo senso la sua critica è “classicamente” bolscevica) e l’incarnazione, sul suolo tedesco, del polo culturale-religioso romano-cattolico, bayrisch (“baverese”), rurale, a cui egli contrappone un’identità tedesca protestante, prussiana e operaia. Del nazismo Niekisch sottolinea anche la componente “tanatopolitica”: l’«ebbrezza del massacro» e l’«odio per la vita» che ne pervadono a suo dire l’azione.

Nazionalsocialismo e nazionalbolscevismo: due prospettive che, nell’interpretare i medesimi poli concettuali (“nazione” e “socialismo”), ebbero, stando a Niekisch, orizzonti totalmente antitetici. Un dibattito ovviamente ancora aperto.

In ultima istanza, possiamo sinteticamente definire la proposta politica di Niekisch come una forma di comunismo patriottico – nazional-bolscevico, appunto –, alternativo al comunismo internazionalista d’impianto marxista. Intuizioni di critica sociale e decostruzione politica, di schietta provenienza marxista, sono nella sua opera sintetizzate a istanze patriottiche, alla tradizione prussiana e a una forma mentis intrisa di protestantesimo, rigore morale, stile marziale e “realismo eroico”. Un «romanticismo dell’abisso», per citare una lirica espressione di August Winnig – in verità critica nei riguardi di Niekisch.

Fra i rapporti intellettuali più rilevanti intrattenuti dal nostro vi è il legame con Ernst Jünger. Niekisch e Jünger collaborarono attivamente in gioventù, quando l’autore di Nelle tempeste d’acciaio era vicino alle posizioni politiche nazionalrivoluzionarie espresse da «Widerstand», la rivista diretta dallo stesso Niekisch fra il 1926 e il 1934. Quest’ultimo, a sua volta, fu uno dei pochi a comprendere, grazie a una straordinaria sensibilità filosofica, il significato profondo del Lavoratore teorizzato da Jünger. Ed è significativo che ancora nel 1964-1965, sulla rivista «Antaios», diretta da Jünger insieme allo storico delle religioni Mircea Eliade, sia stato pubblicato il breve ma denso saggio di Niekisch Die Gestalt des Arbeiters (La forma del Lavoratore), lucida introduzione alle tesi fondamentali del capolavoro jüngeriano.

I due autori presero strade diverse, che nel tragico cuore di tenebra del Novecento non poterono sempre trovare pacifica e serena mediazione. Niekisch, ad esempio, è certamente ingeneroso – e teoreticamente scorretto – a sovrapporre ne Il regno dei demoni l’indiscutibile «istinto nichilista» di Jünger e la Mobilitazione Totale da lui tematizzata all’avanzata nazionalsocialista – «il bagordo più sfrenato in cui si butta il nichilismo, quando gli è diventato già quasi inevitabile dover finalmente fissare il proprio volto». Tanto più che in occasione dell’arresto di Niekisch Ernst Jünger scrisse al fratello Friedrich Georg, mostrando grande coraggio ed empatia per l’amico: «Se mi schierassi per la libertà d’opinione, dato che sono coinvolto nella cosa, non potrei farlo al modo di una dichiarazione di solidarietà e simpatia, ma in una forma davvero più concreta. Ho anche scritto a lei [ad Anna, moglie di Niekisch] che può disporre liberamente di me». L’incendio del carteggio Niekisch-Jünger da parte del secondo, per timore delle perquisizioni, può essere così letto come un atto di prudenza più che di viltà, come ben illustrato da Alessio Mulas nella sua postfazione all’edizione italiana del Regno dei demoni.

D’altra parte nel suo Diario, negli anni ’80, Jünger parlerà di un tradimento delle proprie speranze ad opera di Ernst Niekisch e dell’orientamento nazionalbolscevico, efficace nella teoria ma incapace di incidere nella prassi politica.

Alain de Benoist, nella prefazione all’edizione francese di Una fatalità tedesca, ricorda come Jünger fosse presente alla cremazione dei resti dell’amico. Simbolo di un sodalizio che ci piace pensare sopravvisse alle violenza della Seconda Guerra Mondiale, perlomeno in interiore homine.

Estremamente interessante – ancorché “doppio” – è poi lo sguardo di Niekisch sull’orizzonte eurasiatico. Uno sguardo che potremmo definire infatti duplice, rapportandosi Niekisch alla Russia tanto su un piano ideologico, come patria del bolscevismo, quanto su un piano geopolitico, come civiltà, «istinto slavo-asiatico», cristallizzazione spirituale affine a quella tedesca.

Stando al primo livello interpretativo, Niekisch aveva individuato un destino eurasiatico per il popolo tedesco, immaginando un’alleanza strategica e culturale fra il mondo prussiano e quello bolscevico. «La svolta staliniana in URSS, con il rafforzamento dello Stato e la valorizzazione della dimensione nazionale, avvicina ulteriormente Niekisch alla realtà della Russia sovietica, indicata fin dal ’17 come il luogo dell’effettivo capovolgimento del capitalismo e della democrazia borghese, forme dell’essere sociale e politico che egli vede ormai penetrate in profondità nella Germania imbavagliata dal riformismo weimariano. Lo spirito di Potsdam può risorgere, afferma Niekisch, solo se si è “capaci di comunismo”. Non è comunque, va sottolineato, un’apertura di credito al marxismo. Il comunismo in questa prima fase – prima cioè del 1945 e dell’adesione alla DDR – non ha alcun tratto internazionalista ma è la traduzione politica del comunitarismo spirituale della nazione che deve trovare nello Stato il punto della sua più elevata sintesi e oggettivazione» (Franco Milanesi).

Questa vicinanza ha anche, tuttavia, una ragione di carattere geopolitico e culturale. Tramontato il mondo sovietico, è oggi questo secondo sguardo quello che appare più interessante e, a tratti, profetico nell’opera di Niekisch – una sensibilità peraltro condivisa, seppur con sfumature diverse, con giganti del calibro di Oswald Spengler, Emil Cioran e Rudolf Steiner. La Ostorientierung (“orientamento a Est”) assurge così a progetto fondativo di un blocco eurasiatico fondato sui princìpi di identità, patriottismo, sensibilità spirituale, valorizzazione dell’orizzonte sociale e rifiuto dell’universalismo moderno e capitalistico, ossia della visione del mondo “occidentalista”. Temi che oggi si ritrovano variamente formulati nell’opera del politologo eurasiatista Aleksandr Dugin, che di Niekisch è aperto estimatore. Una nuova patria, quella eurasiatica, destinata a un “tipo” umano non individualista, bensì comunitario, rivoluzionario, devoto a un progetto storico-metafisico originario, con tratti indubbiamente affini rispetto al già citato Arbeiter jüngeriano.

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