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La conferenza del G.R.E.C.E. sul populismo: Occidente virale, sovranismi pandemici e antipolitica

Le classi dirigenti hanno davvero trovato il vaccino contro il “virus” del populismo? Negli ultimi mesi sembra essersi chiusa in Occidente la breve ma storica parentesi che si era aperta nel 2016 con gli inattesi trionfi di Trump negli Usa e della Brexit nel Regno Unito. Oltre a contribuire all’inglorioso tramonto del presidente-tycoon, i contraccolpi sia sanitari che economici della pandemia sembrano aver spiazzato ogni altra minaccia all’ordine costituito sul versante populista: mentre nel lontano Brasile Bolsonaro affonda nei consensi in Gran Bretagna i conservatori di BoJo hanno ormai riassorbito il malcontento dei brexiters e in Francia e Germania l’ex Front National e AfD appaiono lontani dal rappresentare una concreta alternativa ai governi in carica. In Italia, intanto, il campo “anti sistema” è stato disertato da entrambi gli artefici di quello che qualcuno considerò il primo governo interamente populista della storia, Movimento 5 Stelle e Lega salviniana, impegnati entrambi nel recupero di una dimensione istituzionale e alle prese con l’ennesimo rientro dei tecnici nelle stanze della politica.

Ma bastano questi sintomi per gridare alla morte del populismo? Difficile crederlo, visti i precedenti. Già nella seconda stesura del suo Italia populista, edito nel 2003 e aggiornato nel 2015, Marco Tarchi avvertiva che il populismo “è qui per restare”, malgrado sia stato innumerevoli volte seppellito dagli accademici. L’“ospite scomodo” della democrazia ha saputo reinventarsi nei decenni come pochi altri fenomeni, dalle prime manifestazioni con l’Uomo Qualunque di Giannini in Italia e il poujadismo francese fino alla prima ondata europea di inizio anni Duemila cavalcata da Jörg Haider, Pym Fortuyn e Jean-Marie Le Pen, per arrivare infine alla nostra epoca dove non pochi osservatori segnalano una convergenza attorno ai temi e agli stili argomentativi populisti talmente ampia da confermare il sospetto che quella che fino a poco tempo fa veniva denunciata un po’ da tutti come una patologia dei sistemi rappresentativi ne sia divenuta ormai una componente fisiologica.

L’immigrazione di massa, l’atteggiamento dei governi (e dei governati) di fronte all’Unione Europea e la crisi economica aggravata dagli effetti della pandemia lasciano sul campo interrogativi e divisioni ancora più laceranti rispetto a prima. La miscela si fa esplosiva se a tutto ciò si aggiungono i primi echi di un dibattito ormai dominante negli Stati Uniti, quello sulla cosiddetta cancel culture e sulle questioni di genere, che in Italia ha trovato una prima traduzione nel desolante balletto identitario attorno al ddl Zan.

Di tutto questo il Centro Studi G.R.E.C.E Italia (Groupement de Recherche et d’Études pour la Civilisation Européenne) discuterà con ospiti d’eccezione venerdì 14 maggio nell’incontro dal titolo Il populismo. Occidente virale, sovranismi pandemici e antipolitica. Dalle ore 21, in diretta sulla pagina Facebook del G.R.E.C.E., ne parleremo con Marco Tarchi (politologo e docente universitario, tra i più noti studiosi italiani del fenomeno populista), con lo storico Roberto Chiarini, autore dell’appena edita Storia dell’antipolitica dall’Unità a oggi. Perché gli italiani considerano i politici una casta, e con il sociologo Carlo Mongardini, moderati da Eduardo Zarelli.

Un’occasione per fare il punto su un fenomeno, quello del populismo, che al netto delle infinite polemiche giornalistiche e universitarie rimane largamente un oggetto misterioso, sospeso tra i tentativi di inquadrarlo come stile, mentalità o addirittura ideologia – e sovente confinato all’ambito della polemica più deteriore. Ma sempre più destinato, in un modo o nell’altro, a rimettere in discussioni le tradizionali appartenenze sull’asse destra-sinistra e ad agitare le acque in un Occidente chiamato a riscoprire la dimensione conflittuale della politica, dopo decenni trascorsi all’ombra quieta dell’espertocrazia e della governance.

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