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Lo specialismo “anti-recessione ”dà lezioni alla UE. Quali le scelte della BCE?

Secondo l’economista di S&P Global Phil Smith, colui che redige gli indici, i dati dell’economia Euro sono in netta contrazione. Per ciò che riguarda la Germania è in corso «un’intensificazione della fase negativa dell’economia tedesca all’inizio del quarto trimestre», che nelle previsioni a breve termine «rafforza i segnali di una recessione imminente nella principale economia dell’area euro». Secondo il Fondo Monetario Interazionale gli indici PMI sono al ribasso, l’anticamera della recessione. Il Quotidiano Repubblica fa sapere che l’indicatore PMI, quello che «monitora l’attività economica nell’area euro attraverso le interviste ai direttori degli acquisti delle aziende» (servizi e manifatturiero), a partire da settembre è sceso al di sotto dei 47,1 punti, il minimo registrato in 23 mesi.

A questo quadro a tinte fosche, vanno ad aggiungersi il calo del settore manifatturiero che ha raggiunto i minimi in 29 mesi, dai 48,4 punti di ottobre ai 46,6 punti di settembre, più quello del terziario che ha raggiunto in 20 mesi i 48,2 punti. Non è di diverso parere neppure Alfred Kammer, il responsabile del Dipartimento europeo del FMI: «Questo inverno più della metà dei paesi nell’area euro sperimenterà una recessione tecnica, con almeno due trimestri consecutivi». Il riferimento, va in particolare a Germania e Italia, ai tre trimestri consecutivi di contrazione a partire dal terzo trimestre 2022. In sintesi, S&P Global e l’FMI sono concordi con l’avvento di una catastrofe economica, soprattutto in Europa.

Ora non resta altro se non capire gli indici in questione, se ciò che asseriscono i due organismi si avvicini minimamento al vero oppure no, se di fondo non ci sia un’interpretazione dei fattori economici tale da indurre delle previsioni, peggio ancora a delle conclusioni, fuori luogo. Non è più tempo di dar retta a chi spera o “preveda” una catastrofe economica in Europa, mentre esce dalle secche proprio grazie a questo. Partiamo col dire che una recessione può tramutarsi in deflazione, questo può accadere ma non è detto che ciò possa sempre avverarsi. Sappiamo che dal primo giorno del Governo Meloni l’indice FTSE MIB, l’indice azionario più importante della Borsa Italiana, è appena sopra la parità, «mantenendo i guadagni di circa il 3% messi a segno la settimana scorsa» (Financiallunge.com).

A subire una certa contrazione per il quarto mese consecutivo sono il settore manifatturiero e quello dei servizi. Secondo una certa vulgata economica, l’appena parità dell’indice FTSE MIB è dovuta “all’ammorbidimento” della FED, tale da bilanciare le indicazioni di contrazione dell’economia europea. Cosa assai strana, proprio quando gli indicatori economici e pure i dipartimenti della FED, cominciano a vedere una riduzione dell’inflazione negli USA. Il Beige Book della Federal Reserve, un riassunto del commento alle attuali condizioni economiche ed il rapporto pubblicato otto volte all’anno dal Consiglio della Federal Reserve degli Stati Uniti, prevede un aumento dei prezzi USA moderato. Questo accade poco prima delle due settimane dalla riunione di politica monetaria e, cosa importante, dall’aumento dei tassi di interesse di ben altri 75 punti base. Secondo le proiezioni dei membri del FOMC, il Federal Open Market Committee, è probabile che verrà attuato un rialzo dei tassi di interesse al 4,5% entro la fine del 2022, attestandosi intorno al 4,75% nell’anno successivo, per poi stabilizzarsi al 2,5% a lungo termine. La UE, soprattutto la BCE, cosa fanno?

Innanzitutto, provano a controllare l’andamento dei prezzi senza riuscirci pienamente. Ad essere sotto osservazione è l’indice dei prezzi al consumo che sta aumentando considerevolmente, ovvero il tasso di inflazione (in Italia nel mese di settembre è salito a +8,9% rispetto a settembre 2021), cercando di stabilizzarlo al 2% nel medio termine. La difficoltà nel provare a stabilizzare il tasso di inflazione è dovuta agli strumenti di politica monetaria convenzionali (le decisioni sui tassi di interesse ufficiali) ed a quelli non convenzionali (Quantitative Easing ). La BCE sta ricalcando quasi in toto la manovra sui tassi di interesse della FED: le indiscrezioni che circolano sugli argomenti da trattare nella riunione del 27 ottobre 2022, lasciano pochi dubbi a proposito. L’intenzione pare essere quella di approntare una manovra sui tassi di interesse pari a 75 punti base, proprio come la FED, sperando però che il tasso di deposito non superi l’1,5%, quando invece le ultime stime economiche “prevedono” per l’estate del 2023 il 3%.

Più in dettaglio, perché questo comporta porsi alcune domande e provare a dare delle soluzioni che non riguardano solo «in che maniera la BCE vuole gestire il proprio bilancio di nove miliardi di euro», leggasi l’opinione di Ulrike Kastens, economista europeo di DWS. Bensì, sarebbe meglio ragionare su come mettere un argine alla volatilità del mercato obbligazionario senza assecondarne le oscillazioni, lavorando per aumentare il livello dei tassi reali e anticipando qualsiasi tipo di blocco o di contro operazione speculativa, piuttosto che seguire linee guida della FED. Di fatto, per gli speculatori il rialzo dei tassi delle banche centrali non è un problema, non lo è ogni qualvolta che i decisori delle banche centrali adombrano ed escludono dai “giochi” il costo che dovrebbero pagare gli Stati, per convincere gli investitori a comprare i titoli immessi sul mercato. È bene ricordare che trattasi della piazza più importante del libero mercato, sotto l’egida delle leggi del mercato e non degli Stati o delle strutture sovranazionali dove chi ha molto debito pubblico, vedasi l’Italia, può solo sperare di rifinanziarlo. Ed è tutto dire…

Cosa si aspettano gli investitori e cosa si aspettano gli speculatori, dando per scontato che non tutti gli investitori sono speculatori? Gli investitori si aspettano nuovi rialzi dei tassi da parte delle banche centrali, cosa che suggerisce un tasso implicito superiore al 2,75%. Quello che si augurano gli speculatori, con la successiva perdita dei rendimenti, è un ribasso pari o inferiore all’1,5%. Chiarito questo, come dicevamo il dibattito verte sul mercato obbligazionario, in particolare sui livelli dei tassi reali. La traiettoria di rialzo aggressiva della BCE, potrebbe eclissare momentaneamente la spira inflazionistica se sospinta dai rendimenti reali a 10 anni, incentivando gli investitori ad una prospettiva di guadagno a reddito fisso. Qualcosa sta cambiando, nonostante gli investitori vengono da un lungo periodo all’insegna del sistema dell’azionariato.

“TINA”, l’acronimo di There IS No Alternative (non c’è alternativa), era lo slogan del Ministro inglese Margaret Thatcher, ripreso a sua volta da Herbert Spencer. Tutt’oggi, dovrebbe essere l’unica via di pensiero valida in economia, politica ed economia politica: il neo-liberalismo. Ma ciò che all’epoca non poteva comunque essere giustificato per mancanza di alternative al sistema del neo-liberalismo, vive una fase di declino che è sempre più evidente. Per la prima volta, dopo tanti anni l’azionariato viene messo in discussione, prova ne è che gli investitori stanno orientando i loro sforzi in direzione di assets class che offrono rendimenti reali e non virtuali, contrariamente a quelli volatili, una delle componenti peggiori di un ambiente che è altamente inflazionistico.

In un contesto di semi-recessione economica e del pericolo di una recessione sempre più concreta, tutti gli assets obbligazionari di qualità diventano parecchio appetibili. La pandemia prima e la guerra in Ucraina dopo, la protezione dei “portafogli” con degli attivi di alta qualità torna ad essere di primaria importanza. Se le cose dovessero precipitare ed i rischi di una recessione diventerebbero sempre più reali, è facile aspettarsi la compressione dei rendimenti dovuta alle azioni degli investitori per proteggere i loro “portafogli”. La stessa cosa accadrebbe per i beni di rifugio che vedono già delle operazioni di copertura. Chiaro è che un’escalation improvvisa con tutto il carico dei timori dovuti all’aggravarsi della recessione, innescherebbe ulteriori accelerazioni in tal senso.

È molto probabile che il balzo dei tassi di quest’anno stimoli la domanda proveniente dai fondi assicurativi e pensionistici, soprattutto negli USA (“I meccanismi della finanziarizzazione dell’economia”, 25/03/2021). L’insieme delle cose è diventato favorevole in termini di investimento e gli investitori istituzionali faranno di tutto per monetizzare l’impennata dell’ultimo periodo per compensare la passività dovuta a ben due crisi così ravvicinate, provando ad estendere questo tipo di investimenti a lungo termine. In aggiunta a questo, Nadia Netti non sbaglia affatto quando asserisce che «purtroppo la crisi delle stanze di compensazione in derivati sfugge alla Contabilità delle Nazioni esposte. I derivati non sono contabilizzati in bilancio per pratica contabile».

E ne ha ancora di più, quando schernisce quei «toni ridicoli e allarmistici della stampa relativamente alle manovre di una Banca Centrale che non faccia solo da croupier di un casinò» gestito da gruppi come Amazon, «designati dalla Banca Centrale Europea a ricoprire un ruolo preminente ed a contribuire alla creazione dell’euro digitale (la valuta digitale ufficiale dell’unione)». In effetti, è quanto mai singolare che un’azienda privata americana aiuti a progettare il denaro del futuro dell’Europa, quando servirebbe una moneta che si discosti il prima possibile proprio dalle intemperie della virtualizzazione e dal profitto di pochi del «Sistema Denaro». Questo prima che i “mercati” festeggino, banchettando sulla spesa pubblica e la dismissione del patrimonio pubblico, quando non sarà più possibile nessun sforamento da questo tipo di regole fiscali ed economiche.

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