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Arte Estetica

«Hieronymus Bosch e il Rinascimento magico: oltre gli steccati»

Cultura – Il Sole 24 ORE ospita una mia riflessione, a partire dalla mostra a Palazzo Reale, sulle connessioni fra arte e magia. A fianco – o, forse meglio, all’interno – del classicismo naturalista e mimetico che è stato il fulcro dell’arte occidentale scorre un fiume carsico di immaginazione, evocazioni, simboli e depositi archetipici. Bosch ne è somma – ma non esclusiva – rappresentazione. In ultima istanza, “entrare nell’immaginario del Rinascimento è prendere contatto con il proprio inconscio, con quel mondo vivente che la nostra coscienza, nel suo divenire, fu costretta a rimuovere” (I.P. Culianu, “Iocari serio”)

La splendida mostra di Palazzo Reale “Bosch e un altro Rinascimento” ha evidenziato come, all’interno dell’arte rinascimentale, la poetica di Hieronymus Bosch (1453-1516) non sia affatto un unicum, bensì la vetta di una sensibilità onirica, mitico-simbolica e grottesca che incontrò una significativa diffusione nell’Europa della prima modernità. L’“altro Rinascimento” di cui Bosch è certo protagonista – ma non isolato esponente – suggerisce come i paradigmi interpretativi e le ermeneutiche canoniche restino sempre insufficienti a comprendere l’essenza delle epoche –, ma come d’altronde tali modelli siano imprescindibili per individuare chiavi di senso produttive, per stimolare l’immaginazione creatrice e non rinunciare alla costruzione esegetica, senza la quale ci si dovrebbe arrendere al caotico palesarsi di frammenti sconnessi e irrelati.

La chiave interpretativa al cuore della mostra è indubbiamente la dimensione magico-simbolica: l’indagine delle opere esposte, di maestri fiamminghi, italiani e spagnoli, rivela l’importanza che la sapienza esoterica e analogica ha rivestito negli sviluppi della modernità europea. Tanto da apparire, per certi versanti, il vero fil rouge, seppur nascosto, che permette la traslazione della cultura arcaica pagana nella costruzione teologica della coscienza cristiana occidentale.

Il “Trittico del Giudizio Finale”

Il boschiano “Trittico del Giudizio Finale” evoca così uno splendido affresco dell’autocoscienza europea, entro cui Antico e Moderno, Mediterraneo e Nordico, politeismo pagano e apocalittica cristiana si amalgamano nella potente fucina dell’alambicco alchemico di un mago della pittura. La riscoperta della dimensione magica e occulta nell’arte non è d’altronde una novità nel panorama recente delle mostre italiane.

Seminali, in tal senso, le esposizioni “Arte e Magia. Il fascino dell’Esoterismo in Europa” (Palazzo Roverella – Rovigo, 2018-2019) e “Surrealismo e magia. La modernità incantata” (Collezione Peggy Guggenheim – Venezia, 2022). Pure la mostra dedicata al surrealista Max Ernst, visitabile a Palazzo Reale sino al 26 febbraio 2023, non fa che esibire la caratura neorinascimentale di un artista che è una sorta di “reincarnazione di quegli autori renani di diavolerie tipo Bosch” (A. Chastel).

Per contestualizzare, tuttavia, la fascinazione magica di Bosch e sodali, fondamentale risulta un bacino di studi che la mostra di Palazzo Reale, allestita secondo criteri disciplinari storico-artistici, sembra non prendere in considerazione. Assente è il “Rinascimento magico”, quel nucleo filosofico-esoterico depositatosi nell’itinerario verso la prisca sapientia percorso, fra gli altri, da Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Giordano Bruno, ai quali dobbiamo l’elaborazione di un potente paradigma magico, sapienziale e immaginativo, di forte matrice neoplatonica, su cui la filosofia e storiografia recente si sono ampiamente soffermate. Imprescindibili, in questa direzione, gli studi di Eugenio Garin, Frances Amelia Yates, Giorgio Agamben, Daniel Pickering Walker, Will-Erich Peuckert, Mircea Eliade, Ioan Petru Culianu ed Élemire Zolla. Proprio quest’ultimo dedica nel suo capolavoro “Uscite dal mondo” un ritratto densissimo a Bosch e ai suoi “enigmi figurati”: in essi “un esoterismo ci lancia il guanto, ci beffeggia e si fa adorare. Impartisce una lezione straordinaria proprio rifiutando di spiegarsi”.

Dagli studiosi citati emerge un cosmo culturalmente ampissimo, che del Rinascimento costituì un vettore fondamentale: vi si fondono l’alchimia, il gioco cosmico, l’eros metafisico, l’immaginazione creatrice, la medicina olistica, l’astrologia, una gnoseologia simbolica e analogica, in cui visibile e invisibile dialogano nella cornice di quelle connessioni cosmiche enigmatiche che ermetismo, esoterismo e Cabala hanno saputo rinvenire e tramandare. Immettere nella costruzione curatoriale delle esposizioni, oltre all’indagine iconografica e storico-artista, questo filone di studi permetterebbe l’acquisizione – talvolta un po’ spericolata in termini metodologici, ma, proprio per questo, creativa e feconda – dell’interdisciplinarietà e della transdisciplinarietà quali modalità di comprensione appassionata e “produttiva” della realtà – quella realtà che è sempre in transizione fra storia e metafisica, contesto e concetto, didascalia e simbolo. In ultima istanza, “entrare nell’immaginario del Rinascimento è prendere contatto con il proprio inconscio, con quel mondo vivente che la nostra coscienza, nel suo divenire, fu costretta a rimuovere” (I.P. Culianu, “Iocari serio”).

(https://www.ilsole24ore.com/, Luca Siniscalco, “Hieronymus Bosch e il Rinascimento magico: oltre gli steccati”, 5 gennaio 2023)

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