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Metapolitica

La Totalizzazione del Pensiero e Agire Politico ed Esistenziale

Come le logiche del liberalismo e della  ‭«Democrazia rappresentativa» annullano la politica e la realtà.

Gli ultimi tre secoli di storia sono stati caratterizzati da una promessa quasi messianica e tautologica: l’uomo sarà libero e liberato.

Libero di poter comprendere la realtà e di poterla organizzare secondo la propria natura e quella esterna; liberato dal giogo di dottrine, credenze e logiche che lo ancoravano a una circolarità e stagnazione del pensiero e della ragione.

Talune dottrine “liberatrici”, però, si sono rivelate anch’esse, nel divenire storico e nelle riproposizioni del pensiero, come altrettante forze che hanno portato l’uomo a fondare e a dover agire all’interno di prospettive rette o da principi incontrovertibili e che potevano esser solo resi più chiari e applicabili, come nei casi dell’illuminismo, del positivismo, dell’utilitarismo, etc.; o di sistemi che, pur ammettendo la presenza del divenire stesso e di una dialettica in cui la contraddizione e lo scetticismo rifondano continuamente le condizioni del reale, ebbene sono finite per creare delle strutture che, pur contenendo in esse un’apparente molteplicità, al contempo hanno annullato e sterilizzato qualsiasi possibilità di esistenza delle molteplicità, creando così un unico molteplice autoreferenziale. Come nei casi dell’idealismo, del romanticismo, dello storicismo, etc.

Insomma, delle rivoluzioni escatologiche che, cercando di contemplare, sistematizzare e giungere all’assoluto, hanno creato dei termini-medi in cui trasporre le realtà tutte con la giustificazione di porre il reale nei limiti e nei pattern della pura razionalità – e dunque, anche dell’astrazione.

Rivoluzioni che hanno non solo influenzato, ma trasformato completamente gli scenari politici e le questioni esistenziali della loro epoca e della nostra. Rivoluzioni che, dovunque si sono propagate, hanno avuto delle ragioni e degli effetti diversi.

Il caso qui trattato è quello dell’Italia, e i motivi del perché mi limito a osservare e cercare di analizzare questo specifico caso riguardano due fattori: il primo è che, ovviamente, è quello che più ci riguarda e, dunque, ci interessa; il secondo è che, almeno nel panorama euro-occidentale, il caso italiano non si discosta troppo anche da quelli delle altre nazioni europee e/o di loro discendenza, e dunque questo potrebbe bastare come introduzione agli altri (e viceversa).

La politica italiana non è mai stata rinomata per il dinamismo. Così come per lo spirito di eterno e serio cambiamento e divenire e, tantomeno, per il raziocinio e la moralità che servirebbero per attuare una visione veramente dialettica e contrastante della politica e della cultura.

Anzi, ribadiamo ancora una volta come stanno le cose: in Italia non si avanza, non ci si smonta mai.

Dunque in Italia non accade mai nulla, e ciò sin da quando la sopravvivenza per gli staterelli italiani e le logiche di intrighi e poteri ebbero la meglio sugli assetti imperiali e assoluti che, nel resto d’Europa, andavano a crearsi. Paradossalmente, così, l’immagine delle libere città, principati, signorie e via dicendo, nascondono invece la genesi della repressione di ogni divergenza politica e culturale.

Ora, in questo scritto non si vuol fare anzitutto un’analisi puramente storica delle vicende, ma il suo intento è quello di voler analizzare le conseguenze derivate da quella antica situazione, e di come con la venuta del pensiero liberale, capitalista e democratico abbia accentuato ancora di più quelle logiche di asservimento e annullamento della pluralità politico-culturale pur mettendo, fra i propri pilastri, proprio la salvaguardia delle libertà politiche e individuali.

E nel fare ciò, ovviamente anche la possibilità dell’opposizione all’interno del proprio sistema, ma che per via della sua assolutezza e sempre maggiore centralizzazione tanto politica e tanto del proprio ethos, finisce non già per creare un organismo di reale confronto-scontro fra tutte le parti, ma crea un circuito di elargizione di credenze, idee e necessità politiche e sociali che fanno capo unicamente al sistema stesso. Un sistema nel quale è sì permessa la fuoriuscita, ma con la conseguenza del totale isolamento e, dunque, del decadimento di qualsiasi pretesa di rilevanza tanto politica e tanto ontologica. Un sistema, questo, in cui la dialettica è già pre-organizzata affinché tutto l’agire e il pensare non si discosti dai propri canoni, ma utilizza il dissenso stesso come strumento per rinvigorirsi e per continuare col proprio riciclo di sussistenze.

De facto, non si può uscire dal circuito interno democratico e capitalistico che tende sempre a perseguire due direttive-d’azione:

la prima riguarda la distruzione di qualsiasi tipo di gerarchia e sensibilità valoriale per far spazio a delle definizioni deboli in cui far rientrare qualsiasi tipo di espressione politica, sociale e culturale adattandosi poi a queste stesse manifestazioni ed evolvendosi affinché esse non divengano un qualcosa di nuovo, bensì qualcosa che divenga moda e statistica controllabile (tesi-antitesi-sintesi qui si trasformano unicamente in un circuito interno).

La seconda riguarda il fatto che tale sistema tenda, di conseguenza, a far sì che queste medesime forze cosiddette “d’opposizione” (e/o non) rientrino in modo quasi naturale all’interno di questa esaltazione controllata e predetta, da qui dunque il carattere intensivo di tale sistema che ha come fineriproduttore il convogliare, l’annullarsi e il disgregarsi di tutte le forze che possiede o che, come in questo caso, provino a (ri)stabilire una fantomatica “prima perfezione” di questo stesso sistema.

Non che se ne siano mai allontanati e distanziati seriamente, ma ciò dimostra come anche delle forze che avevano come obiettivo la dispersione e l’unificazione all’interno di un sistema che per sua natura tende a centralizzare e a deterritorializzare i sistemi socio-politici, economici e culturali non possa riuscire realmente né a svincolarsi dalle forme-leggi che si estrapolano della realtà del capitalismo piccolo-borghese e né a porsi come una forza-altra-in-sé che mini le fondamenta generali e particolari di questo sistema e che si faccia portatore, proprio come un virus, di una carica che combatta, distrugga e sostituisca gli elementi “sani” del corpo.

In sintesi, dal volere una forma di democrazia più diretta e partecipata, libera culturalmente, socialmente e politicamente e da forza di ristabilimento dell’ordine e della libertà, tutte le forze d’opposizione ritornano sempre lì dove le loro forme-idee le hanno sempre spinte: nell’essere riassorbite nei meccanismi di controllo e guida, ovvero nell’integrazione perfetta e naturale nel sistema di leggi, giudizi e circoli di rapporti dai quali mai si esce, poiché sempre si viene anticipati dal sistema-generale il quale non solo si adatta per vivere, ma vive per adattarsi continuamente e, per questo motivo, non si riesce mai a superarlo.

Ma quindi per ogni nuovo movimento di rivolta e contestazione si seguirà sempre il medesimo schema? Praticamente si, ma nella sostanza tutti finiranno per sovraccaricare sempre di più le energie e il peso su cui corre la modernità, fra cui anche i partiti e movimenti d’opposizione: come già detto di sopra, quelli non hanno nulla di particolare in confronto all’attuale sistema: essi si potrebbero definire come una sorta di “reazionari-democratici”, coloro che vorrebbero una restaurazione dei veri e reali princìpi e atti su cui si fonda la partecipazione democratica, libera e sociale, cercando così di essere “orientali” nella loro risposta allo stato attuale delle cose: non accelerare e sintetizzare, bensì contrastare e riportare l’equilibrium, senza tener conto di come il sistema abbia già attuato la sua manovra a tenaglia sulle posizioni dei suoi “avversari” e di come li costringa, così, a spostarsi in base alle direzioni che il Leviatano stesso decide, portandoli infine al soffocamento e all’annichilimento.

Oltre a ciò, dobbiamo anche tener conto di come i soggetti qui intrappolati contribuiscano attivamente e con volontà al continuo ampliarsi e diluirsi di questo stesso buco nero e di come, soprattutto, questi movimenti e soggetti seguano la stessa volontà del sistema: anch’essi dunque tendono a centralizzare e, contemporaneamente, a “delocalizzare” sia le loro forme-idee sia le loro forme-azione, andando così oltre le classiche distinzioni fra differenti identità e trasformando così l’intero essere e divenire di una civiltà (e in questo caso di quella “occidentale con caratteristiche italiane”) in un sistema chiuso, in cui ogni forza d’opposizione (sia essa conservativa e/o riformatrice) venga disinibita e annullata.

Dunque, se tutti i leader e movimenti politico-culturali mainstream e già integrati nel sistema hanno intrapreso e interiorizzato questa strada già da tempo, divenendo solo delle figure rappresentative dello stato delle cose correnti e, dunque, dei meri punti in cui far esaltare e rinchiudere gli sbalzi nervosi delle masse e dei “moti riformatori”, anche l’opposizione non si distingue da tale percorso: anch’essa ora ha bisogno del sistema per poter continuare ad avere legittimità e farsi dare un’identità.

Ivan Braco

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